martedì 18 novembre 2014

Suolo, patrimonio dell’Umanità: quanto ne stiamo perdendo per erosione, inquinamento e cementificazione?

di Marco Nuti*

 

                                                                                                “Noi non dobbiamo considerare che la Natura si accomodi a quello che parrebbe meglio disposto a noi, ma conviene che noi accomodiamo l’interesse nostro a quello che essa ha fatto”

                                                                                            Galileo Galilei

L’articolo è tratto dalla relazione svolta il 1o novembre 2014 nel convegno “Cibo – Ambiente - Energia: Le Grandi Crisi del Secolo-Il Contributo della Nuova Agricoltura”, organizzato dalla Accademia di Scienze, Lettere e Arti  di Modena


Namibia, 2001, K. Hinderbrandt, Photolibrary Fao, per gent.concessione
Il deterioramento del suolo comprende sia eventi naturali, sia eventi che si verificano per mano dell’uomo. In questo secondo caso si parla di “degradazione del suolo”. Per degradazione del suolo s’intende correntemente  il  processo che diminuisce l’attuale e/o la potenziale capacità del suolo di produrre beni e servizi  (EP, 2009). Ci occuperemo in questa sede soltanto del secondo, cioè  degli eventi di origine/causa antropica.  Il suolo è un ecosistema complesso a quattro fasi: lo scheletro, la fase gassosa, la fase liquida (acqua e soluti) e la biofase. Quest’ultima è quella  che conferisce al suolo le proprietà di vero e proprio organismo vivente, essendo costituita da microorganismi, micro e meso-fauna (Nuti et al., 2010).
I primi rappresentano la parte ponderalmente più rilevante: ad esempio un ettaro (ha) di terreno considerato a 25 cm di profondità, con un peso di 3.000 tonnellate (t), con un contenuto di 1.5 % di sostanza organica (cioè la maggior parte dei terreni italiani), contiene fino a 3 t di microbi,  ovverosia lo 0.1% in peso. In termini numerali un grammo di terreno contiene 109 cellule microbiche appartenenti a  2.000 specie diverse. In altri termini un grammo di suolo può essere assimilato ad un’ immensa biblioteca biochimica che produce le più svariate istruzioni genetiche. Queste sono state presenti per quasi 4 miliardi di anni sulla Terra. C’è sufficiente DNA in 1 g di suolo per una lunghezza di 1,598 km. 
I microbi nel suolo e intorno alle radici  delle piante (rizosfera) sono quasi mai da soli, quasi sempre in micro-colonie o micro-aggregati e mai mono-specifici ma in consorzi microbici multi-specie. Negli agro-ecosistemi  i ruoli dei microbi sono (1) mantenere attivi i cicli biogeochimici, che includono quello del carbonio, dell’azoto, dello zolfo, del ferro e manganese, (2) interagire in maniera stretta o lassa con le piante assicurandone la salute e la nutrizione  e (3)  mantenere la biodiversità funzionale (Nuti et al., 2007), cioè la capacita di operare le funzioni fisiologiche dei cicli indipendentemente dall’appartenenza ad un gruppo tassonomico o ad un altro. In altri termini, se per uno stress ambientale (anossigenia, pesticidi etc)  una funzione (ad esempio l’ammonificazione o la nitrificazione nel ciclo dell’azoto) un gruppo fisio-tassonomico rallenta o viene inibito, un altro gruppo sostituirà le funzioni del primo e il processo di ammonificazione o nitrificazione potrà andare avanti. Ma  vi è un fattore limitante a questo meccanismo: la quantità di sostanza organica nel terreno. Infatti la soglia critica perché sia attivo il meccanismo di “biodiversità funzionale” si colloca intorno all’1.75% di carbonio organico (Lynch et al. 2004), cioè circa 3.5 % di sostanza organica. Al di sotto di tale soglia gli stress ambientali (pH, concimazioni inorganiche, pesticidi, asfissia etc.) non trovano compensazione,  a meno che non vi siano sostanziali apporti di sostanza organica biologicamente “attiva” che riportino il livello al di sopra del 3.5 %. Il ruolo fondamentale della biodiversità per la qualità della nostra stessa vita su questa Terra è sottolineato anche dalle Nazioni Unite:  “Biodiversity, including the number, abundance, and composition of genotypes, populations, species, functional types, communities, and landscape units, strongly influences the provision of ecosystem services and therefore human well-being” (UNEP, Biodiversity Regulation of Ecosystem Services, 2014).

La perdita di suolo per cause antropiche è un dato di fatto ben noto da oltre quarant’anni. Infatti già negli anni ’70 i Paesi aderenti all’OECD e alla Comunità Economica  Europea avvertivano la comunità internazionale che “Loss of productive soil is one of the most pressing and difficult problems facing the future of mankind “ (CEC,1977; OECD, 1979).  Le perdite annuali di suolo per erosione erano stimate in 0.3% di area totale Paesi Emergenti (PE), ma seriamente colpiti erano il 20%  del suolo in Bangladesh, 80% del suolo in Madagascar e Haiti, 77% in El Salvador. In  USA il 30% dello strato arabile era stato colpito da fenomeni degradativi e perdita durante gli ultimi 200 anni, con conseguente riduzione di rese e la necessità di ricorrere a maggiori input energetici in agricoltura. Per aumento di salinità e alcalinizzazione in agricoltura irrigata quarant’anni fa venivano persi 200-300.000 ha annui nei paesi industrializzati, nei PE veniva perso lo 0.3% della superficie irrigua. Per urbanizzazione venivano persi  0.1-0.8% annuo dei suoli nei Pesi OECD (ad esempio, negli anni ’70 erano già persi 25.000 ha in Giappone, e ben  un milione di ha in USA). Venti anni dopo, l’Agenzia Europea per l’Ambiente censiva 115 milioni di ha colpiti da erosione idrogeologica, 42 milioni di ha per il vento, 85 per acidificazione, 180 per contaminazione da pesticidi, 170 da nitrati e fosfati, 33 per compattazione, 3,2 milioni di ha per perdita di sostanza organica,  3,8 per salinizzazione, 0,8 per sommersione ed asfissia (EEA, 1995). Pochi anni più tardi, nell’intento di agire con la progressiva perdita di suolo, la Commissione Europea elencava le seguenti cause nell’UE: erosione, contaminazione (localizzata e  diffusa),  salinizzazione o alcalinizzazione, diminuzione della sostanza organica (oggi l’84% dei suoli  in UE è sotto la soglia del 3.5%), intombamento/cementificazione per urbanizzazione, inondazioni e frane, compattazione, perdita di biodiversità del suolo. 
La maggior causa dei fenomeni degradativi era attribuita alle attività agricole (gestione impropria del terreno coltivabile, agricoltura intensiva, maggior  specializzazione e monocoltura, insufficiente o eccessivo uso di fertilizzanti e pesticidi, cattiva gestione dell’acqua e dell’ irrigazione, assenza o cattiva gestione delle misure di controllo dell’erosione, uso improprio di macchinari pesanti). Il super-pascolamento della vegetazione e il calpestìo eccessivo del suolo da parte del bestiame causano compattazione e diminuzione della copertura erbosa che originano erosione, declino della sostanza organica, perdita di biodiversità. Le attività domestiche sono anch’esse causa di erosione del suolo (EEA, 2003) attraverso eccessiva raccolta di legna da ardere, fieno,  legno pregiato.  La deforestazione o rimozione di vegetazione, attraverso la conversione di foreste in terreno agrario, di foreste in boschi commerciali, costruzione di strade, sviluppo urbano sono causa di  erosione, di declino della sostanza organica, di perdita di biodiversità, di esondazioni e frane
Tutte le attività umane di natura bio-industriale (industrie, generazione di elettricità/calore, minerarie, riciclo rifiuti, infrastrutture e costruzioni, etc.) causano contaminazione del suolo sia localizzata che diffusa, salinizzazione, intombamento. L’ urbanizzazione e i trasporti, attraverso l’ aumentato consumo di aree per uso residenziale, infrastrutture turistiche e trasporti associati causano l’intombamento del suolo, la sua contaminazione attraverso ruscellamento di acque piovane, frane ed esondazioni, frammentazione di habitat. A seguito delle azioni intraprese  dalla Commissione Europea, è stata elaborata una mappa (PESERA Map, Pan-European Soil Erosion Risk Assessment) che identifica le perdite di suolo comprese tra 1 e più di 50 t x anno x ha (Van-Camp et al.,2003; Kirkby et al., 2004). Dalla mappa si evince che l’Italia è in pole position per degradazione del suolo (con perdite spesso tra 20 e 50 t x anno x ha) , in buona compagnia del nord dei Pirenei, del sud della Spagna e buona parte della Grecia. I fenomeni degradativi sono però diffusi in tutta l’UE anche se con minor intensità. Si deve tener presente peraltro che in presenza di una bassa velocità di formazione del suolo (quale si riscontra nel nostro paese) qualunque perdita di superiore a 1 t x ha x anno può essere considerata irreversibile in un periodo di 50-100 anni, senza interventi di recupero. I costi (diretti e indiretti) connessi alla perdita di suolo in UE sono impressionanti (CEC, 2006; EP, 2009) : 7,3 miliardi di euro per l’ erosione, 3,4-5,6 miliardi per la perdita di sostanza organica, 158-321 milioni per la salinizzazione, fra 11 e 600 milioni per le frane (ogni singolo evento), 200 milioni per la contaminazione.

Vi è un’altra conseguenza a livello geo-climatico delle dinamiche del carbonio nel suolo: il sequestro di C e i carbon sinks infatti rappresentano una possibile via d’uscita per contrastare la crescita della CO2 nell’atmosfera ed il correlato riscaldamento della medesima. Se consideriamo 1 Ha di suolo (33,5 cm di profondità) con una densità di 1,4 t per m3 la massa del suolo sarà ca. 4.700 t; se quel terreno contiene l’1% di sostanza organica, cioè 47 t, vi saranno circa 25 t di carbonio sequestrato nel suolo, in particolare nell’humus che è la frazione della sostanza organica a più lenta degradazione (circa un secolo per il C umico). Ma se la sostanza organica fosse riportata al  4%  (cioè al di sopra della soglia per il mantenimento della biodiversità funzionale) avremmo ben 100 t di C sequestrato nel suolo. Ricordiamo che a livello globale il C sequestrato nella vegetazione è di 650 giga-tonnellate (Gt), nell’ atmosfera 750 Gt, nel suolo 1500 Gt.  
E’ fortemente probabile che nei prossimi 30 anni soltanto i suoli avranno la capacità di sequestrare quantità significative di   carbonio atmosferico e ridurre i livelli attuali di CO2  (EPA, 2014). Altre soluzioni richiedono più di  30 anni per cominciare a catturare volumi di CO2 rilevanti per contrastare i cambiamenti climatici. Ecco perché si comincia a parlare di “agricoltura rigenerativa” e di “rigenerazione dei suoli”, come approccio di agricoltura eco-sostenibile nel vero senso del termine a livello globale. Sarebbe un buon modo per celebrare  il prossimo 5 Dicembre come Giornata Mondiale del Suolo e l’anno 2015 come Anno Internazionale del Suolo, deliberati entrambi nella 38ma Assemblea Generale delle Nazioni Unite del 2 dicembre 2013, a seguito delle Risoluzioni della FAO n. 4/2013 e n. 5/2013 adottate il 22 Giugno 2013.  



Bibliografia

CEC, Commission of the European Communities (1977) European Community policy and action programme on the environment for 1977–1981. Official Journal of the European Communities C139, 13 June

CEC, Commission of the European Communities (2002) “Towards a Thematic Strategy for Soil Protection” ,  Communication from the Commission to the Council, the European Parliament, the economic and social Committee and the Committee of the Regions Brussels, 16.4.2002 COM(2002) 179 final.

CEC, Commission  of the European Communities  (2006) “Impact Assessment of the Thematic Strategy” SEC(2006)620, Brussels

EEA, European Environment Agency (1995) Chapter 7: Soil  Degradation in Europe’s Environment: the Dobris Assessment. EEA, Copenhagen, pp. 146-171.

EEA ,European Environment Agency (2003) Chapter 9: Soil Degradation in Europe’s Environment: the Third Assessment. EEA Copenhagen, pp. 198-212.

EP, European Parliament (2009) Land Degradation and Desertification. Policy Department, Economic and Scientific Policy. Study IP/A/ENVI/ST/2008-23.

EPA, Environmental Protection Agency USA (2014) Composting, WARM Version 13 June, 2014

Kirkby, M.J., Jones, R.J.A., Irvine, B., Gobin, A, Govers, G., Cerdan, O., Van Rompaey, A.J.J., Le Bissonnais, Y., Daroussin, J., King, D., Montanarella, L., Grimm, M., Vieillefont, V.,Puigdefabregas, J., Boer, M., Kosmas, C., Yassoglou, N., Tsara, M., Mantel, S., Van Lynden, G.J. and Huting, J. (2004). Pan-European Soil Erosion Risk Assessment: The PESERA Map, Version 1 October 2003. Explanation of Special Publication Ispra 2004 No.73 (S.P.I.04.73). European Soil Bureau Research Report No.16, EUR 21176, 18pp. and 1 map in ISO B1 format. Office for Official Publications of the European Communities, Luxembourg.

Lynch J.M., A. Benedetti, H. Insam, M.P. Nuti, K. Smalla, V. Torsvik, P. Nannipieri (2004) Microbial diversity in soil: ecological theories, the contribution of molecular techniques and the impact of transgenic plants and transgenic microorganisms. Biology and Fertility of Soils  40, pp. 363-385

Nuti M., M. Agnolucci, A. Toffanin, S. Degl’Innocenti (2007) La biodiversità microbica del suolo. In “Microbiologia agroambientale”, B. Biavati, C. Sorlini Eds. Casa Editrice Ambrosiana, Milano vol. 2 pp.163-193

Nuti M., A. Squartini, P. Nannipieri, M. Giovannetti, R. Paoletti (2010) La biodiversita’  nel terreno agrario. A Quaderni (Suppl.) “Atti dell’Accademia dei Georgofili” Serie VIII, Vol 7, pp. 9-26.

OECD, Organization for the Economic Cooperation and Development (1979) Report “Interfutures: Facing the future”, Paris, p.23.

Van-Camp. L., Bujarrabal, B., Gentile, A-R., Jones, R.J.A., Montanarella, L., Olazabal, C. and Selvaradjou, S-K. (2004). Reports of the Technical Working Groups Established under the Thematic Strategy for Soil Protection. EUR 21319 EN/2, 872 pp. Office for Official Publications of the European Communities, Luxembourg



*Marco Nuti. Già Professore Ordinario di microbiologia agroalimentare ed ambientale presso le U. di Pisa e di Padova. Fondatore del CRIBI di Padova e dell’Istituto per la Mutagenesi e Differenziazione del CNR a Pisa. Esperto di Microbiologia e qualità del suolo, ha pubblicato 370 lavori scientifici su riviste internazionali.  mn.marconuti@gmail.com

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