lunedì 4 maggio 2015

Il manifesto di Vandana Shiva per un nuovo Medioevo in agricoltura


di LUIGI MARIANI



Vandana Shiva1
Presentato il 2 maggio a Cascina Triulza, il padiglione della Società Civile ad Expo 2015, “Terra Viva”, il manifesto per un nuovo patto sociale, economico, agricolo. All'evento erano presenti l'ambientalista Vandana Shiva, Ugo Biggeri di Banca Etica, Don Luigi Ciotti di Libera e Maurizio Martina, Ministro delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali con delega a Expo Milano 2015.

Nel XX secolo abbiamo assistito ad un miracolo, frutto dell'ingegno umano ed in virtù del quale oggi siamo in grado di nutrire un pianeta popolato da oltre 7 miliardi di persone, riducendo la percentuale delle popolazione mondiale con problemi di sicurezza alimentare dal 37% del 1971 al 12% odierno. Si tratta di un miracolo tecnologico sulle cui cause sarebbe opportuno interrogarci a fondo e senza preconcetti ideologici, in quanto esso potrebbe ragionevolmente costituire la base culturale su cui fondare la politica di sicurezza alimentare di qui al 2050. Il manifesto “Terra Viva” ritiene tutto ciò una sciagura e ambirebbe a riportarci indietro, ad un passato cioè in cui i problemi di sicurezza alimentare troverebbero la loro naturale soluzione.
Non potendomi per ragioni di tempo dilungare in una critica sistematica al manifesto, mi limiterò ad evidenziare alcune frasi che mi paiono emblematiche (riportate in corsivo e fra virgolette) e che provvederò a commentare in modo sintetico.

Pag. 7: “Quando la realtà è sostituita da astrazioni create dai poteri economici dominanti, la manipolazione della natura e della società ai fini del profitto diventa facile. Il posto del bene reale delle persone e della società è preso dagli obiettivi delle multinazionali. La produzione reale delle economie, della natura e della società è rimpiazzata dall’astratta accumulazione di capitali.”

Il Manifesto è intriso di odio per l’economia di mercato e per le multinazionali. Le multinazionali sono imprese private e come tali perseguono un loro utile. Gli Stati devono fare in modo che l’obiettivo d’impresa non sia in contrasto con l’utilità generale. Da ciò dovrebbe discendere anche un’estrema attenzione nel fare in modo che la ricerca pubblica presidi alcuni ambiti strategici (es: le biotecnologie) per non lasciarle unicamente appannaggio di gruppi privati che agirebbero così senza alcun controllo.

Pag. 24 “La piccola agricoltura familiare è oggi la fonte principale di produzione di cibo nel mondo.”
Come si fa ad affermare una cosa del genere quando il 54% della popolazione mondiale è ormai inurbato? Di quale agricoltura si nutrono i cittadini se non di quella proveniente da aziende che operano per il mercato e che sono supportate da sistemi logistici complessi? Pensiamo che il modello della piccola agricoltura familiare (inefficiente, non redditizia, che genera problemi di sicurezza alimentare agli stessi che la praticano) sia davvero un obiettivo credibile per i prossimi 20-30 anni?

Pag. 27: “I contrasti maggiori del nostro tempo - sul piano intellettuale, materiale, ecologico, economico, politico - riguardano la mercificazione e la privatizzazione di risorse di tutti, l’appropriazione privata (enclosure) dei beni comuni."
Pag. 40: “Dal punto di vista dell’economia lineare, quello che conta sono i costi e i rendimenti nel ciclo economico. Inputs artificiali, terra e acqua sono i costi, e i prodotti commerciabili il rendimento. Servizi ecosistemici, valore nutritivo degli alimenti e dei mangimi non hanno alcun valore dal momento che non possono essere misurati come costi o rendimenti entro il ciclo economico.”
L’economia di mercato come tutti i sistemi umani è un sistema imperfetto ma essendo in grado di apprendere dai propri errori ha dimostrato nei decenni di essere l’unico in grado a produrre cibo e beni di consumo in modo efficace ed efficiente. In particolare l’Europa sta ancor oggi leccandosi le ferite prodotte dalle politiche di collettivizzazione attuate nei Paesi del Socialismo Reale e ferite analoghe sono tuttora presenti in altre parti del mondo (es: Cina, Cambogia). Possibile che vi sia già qualcuno pronto ad imbarcarsi in nuovi esperimenti utopici che hanno già in passato mostrato di essere fallimentari? La proprietà privata della terra e la cultura imprenditoriale in agricoltura sono un valore per l’intera collettività.

Pag. 57: Sono i nostri agricoltori biologici le fondamenta del nostro cibo e del nostro futuro, restituendo materia organica al suolo e coltivandone la fertilità. Praticando l’agricoltura biologica, contribuiscono alla conservazione dell’acqua e all’assorbimento di anidride carbonica dall’atmosfera, riducendo così il problema del cambiamento climatico.
Nel libro L’occhio nel cielo di Philip K. Dick, un gruppo di persone cade in un acceleratore di particelle (bevatrone) e per effetto delle radiazioni ha la spiacevole ventura di vivere temporaneamente in una sequenza di mondi, ciascuno regolato dall’ideologia in cui crede ognuno dei suoi componenti. Ecco, credo che se il mondo preconizzato dal manifesto di cui discutiamo (senza economia di mercato, con l’agricoltura biologica come unico sistema di produzione agricola, senza le multinazionali, ecc.) avesse modo di materializzarsi esso sarebbe buio, misero e assillato dalla fame. Per capirlo basti considerare che il 50% delle proteine che costituiscono gli esseri umani provengono dall’azoto atmosferico trasformato in concimi azotati attraverso un ingegnoso sistema messo a punto da Fritz Haber, che per questo vinse il Nobel nel 1918. In altri termini ritornare al biologico (che poi è in sintesi il sistema di produzione che vigeva prima della rivoluzione chimica dell’800 e che si fondava sulla filosofia vitalistica) e rifiutare con esso i “concimi chimici” significherebbe ridurre del 50% l’apporto proteico. Secondo Voi la nostra civiltà sarebbe in grado di sopportare un tale cambiamento? Io credo di no e perciò spero che i governi non arrivino mai a scegliere l’agricoltura “ideologica” propagandata dal manifesto in questione.

Pag. 66: “Fino dagli inizi del XX secolo gli Stati Uniti si sono infiltrati nell’agricoltura della Vecchia Europa, e poi in quella del resto del mondo, con la diffusione dei mais ibridi. Dopo la Seconda Guerra Mondiale, il Piano Marshall non soltanto inaugurò un nuovo modello di agricoltura ma segnò la fine dell’agricoltura come ambito autonomo, in termini sia economici sia culturali. Sino dagli anni ’50, l’agricoltura in Europa è diventata un’appendice dell’industria e del settore agro-chimico. La diffusione di sementi ibride è stata il cavallo di Troia per la penetrazione di un sistema generalizzato di uso del suolo, dell’acqua, delle risorse naturali, di riduzione della biodiversità agricola e così via.”
Ingenerosa è anzitutto la critica al Piano Marshall il quale, giova qui ricordarlo, salvò un’Europa che dopo la seconda guerra mondiale era ridotta alla fame, e non certo per colpa degli americani. Venendo poi ai mais ibridi, ricordo che tale tecnologia, basata sullo sfruttamento dei fenomeni di eterosi, gli stessi sfruttati per millenni in zootecnia nel caso ad esempio dei muli, ha garantito aumenti di resa prima inimmaginabili, consentendo ad esempio di supportare le produzioni zootecniche da cui discendono i prodotti alimentari italiani oggi più venduti nel mondo (i due formaggi grana, i prosciutti di Parma e San Daniele). Vogliamo tornare a prima degli ibridi (20 quintali per ettaro di granella di mais contro i 130 attuali)? Sarebbe un modo efficacissimo per far fallire le aziende ed innescare il “circolo virtuoso” che riporterebbe il sistema ritornare a prima della tanto odiata agricoltura di mercato!
Pag. 66: “L’abbondanza di cibo esaltata dagli alfieri dell’agricoltura industriale si è basata non già su miracoli tecnologici o genetici, ma sul saccheggio delle risorse di energia fossile. Allo stesso modo la Rivoluzione Verde, dal 1950 al 1985, ha fatto crescere la produzione mondiale di grano del 250%. Un grande successo si direbbe. Ma nello stesso periodo l’uso di combustibili fossili in agricoltura è cresciuto del 5000%!”
Se la produzione agricola non fosse salita del 250% con cosa nutriremmo oggi i 7 miliardi di abitanti del pianeta? Con le chiacchiere del manifesto?

Pag. 67: “Sappiamo bene che i fertilizzanti chimici uccidono i microrganismi del suolo, rendendolo sterile, esposto all’erosione, incapace di trattenere l’acqua e via di seguito.”
Da quando in qua somministrare urea, nitrato d’ammonio o perfosfato minerale si isterilisce il suolo? I suoli europei o quelli degli altri granai del mondo (Usa, Canada, Argentina, Australia, Pianura indo-gangetica, ecc.) ove si pratica agricoltura intensiva da decine d’anni sono per caso diventati sterili? Se i terreni si stessero isterilendo come sarebbero possibili gli incrementi nelle rese unitarie delle colture che nutrono il mondo (grano, mais, riso, soia) cui stiamo tuttora assistendo?


Conclusioni

In sintesi dal documento traspare un evidente odio per l’economia di mercato e per l’innovazione tecnologica, condito da una totale ignoranza delle leggi della nutrizione dei vegetali che sono a fondamento del pensiero agronomico moderno, un pensiero che si regge sulle spalle di giganti come Lavoisier, De Saussure, Liebig, Lawes e Gilbert (cito questi nomi perché non si può pensare di comprendere un fenomeno se non si coglie come esso è nato e si è poi evoluto nel tempo). Mi fa specie che una tale raccolta di sciocchezze sia stata patrocinata da un’ambasciatrice dell’Expo (Vandana Shiva) e, a quanto appare, avvallata dallo stesso ministro della Repubblica con delega alle politiche agricole.

1 Circa il curriculum scientifico di Vandana Shiva, sul Corriere della sera  viene riproposta la laurea in fisica teorica. In proposito si rinvia (qui) in cui si mettono a confronto la qualifica reale ed attualmente presente su Wikipedia (dottorato di ricerca in filosofia) con quello precedentemente esposto sempre su Wikipedia (...). Si rammenta inoltre che il fatto che la d.ssa Shiva sia filosofa e non fisica è stato per la prima volta posto in evidenza da un giornalista del New Yorker, Michael Specter, in un articolo del 18 agosto 2014 dal significativo titolo "Seeds of doubt" (http://www.newyorker.com/magazine/2014/08/25/seeds-of-doubt). Da tale articolo è scaturita una dura polemica a nostro avviso assai ben riassunta nell'articolo del direttore del New Yorker David Remnick (http://www.geneticliteracyproject.org/2014/09/02/new-yorker-editor-david-remnick-responds-to-vandana-shiva-criticism-of-michael-specters-profile/). Certo, il lettore potrà pensare che rispetto all'agronomia, filosofia e fisica teorica "pari sono"; tuttavia specie nel mondo anglosassone l'abuso di titolo è considerato un fatto molto grave, il che giustifica a nostro avviso l'articolo di Specter e la reazione scomposta della Shiva, colta con le mani nel sacco.



Luigi Mariani

Già docente di Agronomia e Agrometeorologia all'Università degli Studi di Milano, è attualmente condirettore del Museo Lombardo di Storia dell'Agricoltura di Sant'Angelo Lodigiano.









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