sabato 1 agosto 2015

Il potere e i simboli dell' agricoltura, da Benito Mussolini mietitore a Michelle Obama badilante


di Luigi  Mariani


Fig.1-Mussolini mietitore
E’ curioso osservare che quando Benito Mussolini si faceva riprendere intento a mietere il frumento (figura 1) afferrava il mannello al rovescio, con un gesto che nessun mietitore vero si sarebbe sognato di fare in quanto in tal modo in un momento di distrazione avrebbe potuto rimetterci le dita.
Passano 80 anni e Michelle Obama (figura 2) si fa’ immortalare con i figli mentre lavora nell’orto con badili a manico corto, strumenti fotogenici ma certo improbabili per lavorare nell’orto, ove non a caso da millenni dominano vanghe, zappe e rastrelli. Possiamo immaginare che la foto sia nata per obbedire alle esigenze di un fotografo che voleva creare un’immagine al cui centro vi fosse un gesto potente, un po’ come quello (ancor oggi commovente) dei marines che sollevano la bandiera americana a Iwo Jima.

E il “gesto potente” l’ottieni più facilmente con il badile a manico corto, che peraltro ha il vantaggio di non debordare dalla foto. Certo diremo noi, un gesto potente lo produce anche la vanga ma qui si pone il problema culturale: chi ha realizzato la foto o i protagonisti della stessa sanno cos’è una vanga e come la si usa? “Che ne sai tu di un campo di grano?”, diceva Lucio Battisti in una sua celebre canzone e Walter Chiari (in un suo indimenticabile sketch) gli rispondeva che lui di un campo di grano non sapeva proprio nulla, in quanto nel suo armadietto di lavoro non aveva certo una zappa!
Possiamo così metterci alle radici di una foto che ha eminenti scopi propagandistici nei confronti della popolazione americana, per promuovere il consumo di verdure e dunque è stata realizzata a fin di bene. Tuttavia sul piano filologico la cosa disturba un pochino anche perché se, come osserva Michela Proietti sul Corriere della Sera (28 luglio 2015 – pagina 18) l’America è un Paese che ascolta il proprio presidente, possiamo immaginarci milioni di americani che coltivano il proprio orto con il badile a manico corto, con risultati tutti da vedere….
Qualcosa da eccepire ci sarebbe poi anche sulla campagna a favore degli orti urbani o , se preferite, orti di guerra come spregiativamente li si chiamava da noi fino a non molti anni orsono, ritenendoli simbolo di un passato non certo desiderabile. Il problema legato a tale orticoltura risiede nel fatto che i suoli e le acque delle città hanno spesso livelli d’inquinamento elevatissimi e dunque metterli a coltura presuppone tutta una serie di verifiche preliminari seguite se del caso da opere di bonifica dei suoli contaminati. D’altronde la stessa famiglia Obama, al primo tentativo di mettere a coltura il giardino della casa Bianca, rischiò l’avvelenamento da piombo, metallo pesante presente in grosse dosi in quel terreno. Trovo inoltre retrivo lo spot di Michelle Obama a favore dell’agricoltura biologica come tecnica di produzione credibile per alimentare oggi il genere umano. Questo perché il biologico è minato sul piano scientifico da alcune idee balzane come quella per cui una molecola d’urea di sintesi è diversa da una molecola d’urea da letame ovvero che il solfato di rame sia buono e gli anticrittogamici organici cattivi.
D’altronde dall’epoca evangelica ci separano 2 millenni nel corso dei quali l’inurbamento ha proceduto con gradualità per giungere al XX secolo nel quale ha definitivamente vinto. La vittoria dell’urbanesimo significa che i miti ed i riti della cultura urbana (mulino bianco docet) si impongono senza che la cultura rurale possa in alcun modo interferire. La stessa Expo 2015 è un rito in gran parte creato da cittadini (architetti, scenografi, storici dell’arte, maghi della comunicazione, ecc.) per il consumo da parte di un pubblico urbano globale che non sa distinguere una pianta di frumento da una di mais.
Quale morale trarre da quanto detto? Penso che il mondo rurale debba tornare ad essere culturalmente centrale, il che significa anzitutto riappropriarsi della propria storia ed inoltre acquisire una chiave di lettura quantitativa dei processi biochimici che sono il suo core business.
Riappropriarsi di una storia lunga decine di migliaia di anni (dall’ignicoltura ai concimi di sintesi e ai mais OGM) significa saper ripercorrere con cognizione di causa una vicenda fatta di progressi e di grandi rivoluzioni nella genetica e nelle agrotecniche, rivoluzioni effettuate per dare risposta ai bisogni di cibo e beni di consumo di tutta l’umanità.
Acquisire una chiave di lettura quantitativa dei processi che sono il core business dell’agricoltura significa anzitutto saper fare bilanci (dei nutrienti e dell’acqua, a livello di singola pianta e di campo), un compito questo che risulta cruciale perché solo se si nutrono adeguatamente le piante (con CO2, azoto, fosforo, potassio, acqua, ecc.) si può pensare di nutrire il pianeta.
Si noti qui che acquisire una visione storica realistica e una visione quantitativa del processo produttivo agricolo significa disporre degli strumenti culturali necessari per contrastare in modo deciso le fanfaluche sugli antichi saperi, che a dosi da cavallo attraverso i media ci vengono propinate dalle Vandane Shive o dai Carlin Petrini o dalle Giulie Crespi di turno, fanfaluche che altro non sono se non un’ulteriore forma di prevaricazione della cultura urbana, quella dei salotti buoni, su quella rurale.


Fig.2-Michelle Obama
Da rilevare inoltre che entrambe le foto,quella di Mussolini e quella di Michelle Obama, sono state realizzate per parlare ad una popolazione urbana e non certo alla popolazione rurale. Una differenza enorme rispetto ad esempio al verbo evangelico che parlava, quello sì, ad un popolo di agricoltori ed allevatori di bestiame ovino. Di questo ti accorgi ad esempio quando Luca ti snocciola le rese dei cereali (chi il 30, chi il 60, chi il 100, ricordate?) e con un minimo di conti (che Alberto Oliva ha fatto nel suo “La politica granaria di Roma antica”) ti accorgi che i dati sono del tutto realistici per la cerealicoltura mediorientale di quei tempi.
Insomma, se il mondo agricolo deve trarre una lezione da Expo 2015 è quella per cui occorre ritrovare l’orgoglio di produrre cibo e beni di consumo per tutta l’umanità e tale orgoglio può essere ritrovato solo attraverso una consistente crescita culturale sul piano storico ed agronomico.

Luigi Mariani

Già docente di Agronomia e Agrometeorologia all'Università degli Studi di Milano, è attualmente condirettore del Museo Lombardo di Storia dell'Agricoltura di Sant'Angelo Lodigiano.




                    Dai  politici alla pubblicità. In un vecchio  spot della Barilla;
che sosteneva come i tempi cambiano, ma non cambia la saggezza dei contadini.
Si vede il contadino che  miete il grano con la falce fienaia invece di quella messoria...



4 commenti:

  1. Sicuramente il falciatore del filmato della Barilla non ha mai usato la falce fienaia: … come sarebbe stato più comodo poter falciare rimanendo eretti e non piegati in due….come sarebbe stato meno faticoso non dover far fare al busto una torsione di 90° e oltre ad ogni colpo. Anche la Michelle non ha mai lavorato in campagna, tralasciamo pure il manico corto che sta a significare che non ha recepito il principio della leva, ma seduti o inginocchiati non si lavorava mai in quanto sarebbe stato una perdita di tempo il sedersi e il rialzarsi per avanzare nel lavoro. Purtroppo si lavorava proni!
    Luigi, sempre a proposito del parlare di agricoltura ad un pubblico urbano che ha perso le sue radici, ti voglio raccontare questo episodio. Quando era sottotenente cpl in un reggimento di cavalleria il mio colonnello era patito di ricerche storiche e tra le mani gli era capitata una lettera scritta da un soldato al fronte e censurata sulla frase “qui si vanga e non si zappa”. Lui nobile ufficiale di carriera evidentemente non comprese il perché della censura e ne parlo una volta che eravamo assieme ad altri al circolo ufficiali a prendere il caffè. Vedendomi sorridere mi chiese se avevo una spiegazione. Gli risposi che probabilmente il censore era di estrazione contadina in quanto aveva interpretato il messaggio che vi era insito nella frase, vale dire che il soldato voleva comunicare a casa che ci si ritirava e non si avanzava. Ancora lui non capì ed allora gli mimai il modo di esecuzione del vangare (che si esegue indietreggiando) e quello dello zappare (che si fa avanzando).

    RispondiElimina
    Risposte
    1. "tralasciamo pure il manico corto che sta a significare che non ha recepito il principio della leva, ma seduti o inginocchiati non si lavorava mai in quanto sarebbe stato una perdita di tempo il sedersi e il rialzarsi per avanzare nel lavoro. Purtroppo si lavorava proni!". Ottime considerazioni che ci rimandano all'ergonomia e cioè all'interazione uomo-strumento agricolo. Se non ci si cala nell'ergonomia dello strumento non se ne può capire fino in fondo il significato, come ci dimostra l'aneddoto sul "qui si vanga e non si zappa”.

      Elimina
    2. Luigi

      Hai letto la pagina di oggi sul Corriere della Sera su EXPO.

      MI sai dire che cavolo c’entrano i prodotti di bellezza, anche se naturali, naturali, naturali con il dar da mangiare al pianeta?

      Ma se ai bambini dell’Africa gli facciamo il maquillage sul pancione gonfio che si sentano sazi?

      Elimina
    3. Ho letto il paginone doppio del Corriere dell’11 agosto ieri dedicato ad un tema di cui ci informa il titolo a caratteri cubitali "BEAUTY - L'ONDATA DEI COSMETICI BIO. E LA BELLEZZA DIVENTO’ NATURALE" (e, per inciso, sottolineo che il doppio paginone, che è poi lo speciale EXPO, si apre con lo slogan di dubbio gusto “la buona informazione è cibo per la mente”, e qui è meglio non domandarsi dove stia di casa la “buona informazione“…).
      Che dire? Che la natura è piena di veleni e che e che se non stai più che attento ci lasci le penne? Nerium, Scilla, Brionia, Conium, Datura, solo per citare alcuni generi di piante velenose, e qui ci vorrebbe un bel quiz per le autrici dell’articolo (Rossella Burattino e Maria Egizia Fiaschetti) e in genere per i cultori del naturale, volto a verificare la loro ferratezza in fatto di botanica. E se anche la botanica non li aiutasse, almeno dovrebbero farlo le reminiscenze di Leopardi, il quale non a caso ci diceva che la Natura è matrigna (si veda in proposito il bellissimo "Dialogo delle natura e di un islandese").
      Temo tuttavia che sia inutile sprecare parole a fronte di tante sciocchezze pedissequamente riproposte e che con il nutrire il pianeta, come tu stesso dici, non c'entrano un bel nulla.
      Basta un aforisma di André Suarès da cui da decenni traggo conforto:
      "La moda è la più eccellente delle farse, quella in cui nessuno ride perché tutti recitano."

      Elimina

Printfriendly