venerdì 18 settembre 2015

L’evoluzione dell’agricoltura italiana: la trasmissione del patrimonio di valori ambientali, etici sociali punto di forza per la ricostruzione di un modello di sviluppo


di Alessandro Cantarelli

2ª parte

Fig. 4. Olivi e vite coltivati in traverso, disegnano ancora oggi il paesaggio agrario
nella collina pisana attorno a S. Miniato. Foto A. Cantarelli
La richiesta da parte di chi non vive in campagna di attività a contatto con la “natura”, stanno d’altra parte sempre più orientando le aziende ad effettuare oltre alle produzioni agricole, anche delle produzioni di servizi (esempi ne sono l’agriturismo, la vendita diretta, le fattorie didattiche, le manutenzioni varie ecc.), soprattutto nelle aree attorno alle città. In questo contesto il recupero e la valorizzazione della struttura storica del paesaggio agrario, operata con dedizione, sapienza e orgoglio dagli agricoltori che sono rimasti in cascina, otterrebbe il risultato di un crescente apprezzamento da parte della popolazione cittadina: aspetto non trascurabile per quelle realtà che volessero instaurare rapporti con il pubblico10.

Ma l’agricoltura del bel Paese significa anche (a livello territoriale si può dire soprattutto), la coltivazione delle terre declivi.
A tale fine è utile ricordare quelli che ancora oggi costituiscono validi criteri sistematori, dal punto di vista paesaggistico tra i più belli esempi del paesaggio agrario italiano (ed icone di quello toscano, umbro, delle Langhe ecc.), che conservano appieno la loro funzione agronomica.
Come non menzionare le sistemazioni a “gradoni”, a “ciglioni”, a “cavalcapoggio”, a “girapoggio”, la “unita a spina” ecc., create in circostanziate situazioni e luoghi, hanno concretato uno scenario sistematorio quanto mai ricco lungo tutta la penisola.
Il triangolo che ha avuto per vertici Pisa, Firenze e Siena può considerarsi la “culla” delle sistemazioni di collina . Peculiari risultano le esperienze che si sono succedute nei pressi di San Miniato nel pisano, dove nella seconda metà del XVIII° sec. il curato del beneficio di S. Angelo Montorzo don Giovan Battista Landeschi i con terreni dominati dalle argille plioceniche (e per questo tale tipologia di collina viene definita “tipica”), ha apprestato la sistemazione a “ciglioni”, applicando i principi innovatori della sistemazione per traverso
11.
Egli era rimasto molto impressionato dagli esiti delle disastrose alluvioni che avevano afflitto il territorio sanminiatese negli anni 1766-1768, oltre il considerare che la pressione demografica spingeva anche allora l’agricoltura ad utilizzare i terreni collinari del circondario.
Solo pochi decenni dopo, nella vicina Meleto nel podere del marchese Cosimo Ridolfi (fatti e persone anche nella storia agraria si intrecciano e ritornano…), il fattore Agostino Testaferrata crea “l’unita a spina”, riconosciuta dal mondo agronomico come una delle più valide sistemazioni di collina. Per dovere di cronaca vanno menzionati gli studi del medico-agronomo Francesco Chiarenti della vicina Montaione, a testimonianza di un tessuto culturale propenso all’innovazione ed alla discussione, ed in questo non si può tralasciare il ruolo svolto dall’Accademia dei Georgofili.
Le sistemazioni idraulico agrarie, hanno comunque risentito delle condizioni generali in cui furono adottate, quali: abbondanza di manodopera, lavoro animale e presenza della piccola impresa familiare.
I tratti più tipici del paesaggio cosidetto “mezzadrile” nell’Italia centrale, sono stati caratterizzati (in larga parte ancora oggi), per l’insediamento sparso delle case coloniche e la compresenza delle colture legnose ed erbacee sugli stessi terreni; case, olivi, viti e in certe aree anche gelsi e alberi da frutto, hanno così impresso al paesaggio una configurazione verticale, che si è andata a sommare e a nascondere quella orizzontale dei seminativi12.
In questo processo plurisecolare di costruzione e di conservazione del paesaggio toscano, imperniato sull’esercizio dell’attività agricola in collina, si possono ricordare anche altri nomi: partendo da Luigi Ridolfi (figlio di Cosimo), per arrivare fino ai tecnici idraulici e agli agronomi del primo Novecento come Vittorio Peglion, Alberto Oliva e Francesco Lami. Sul piano storico il Sereni non ha esitato a parlare addirittura di una “scuola del Landeschi”, collocando il parroco sanminiatese (insieme al veneto Lorenzi, al Lastri, al Testaferrata), tra i maestri della “bonifica collinare (fig. 4).

Il risultato del genio e dell’ostinazione di questi uomini, è che ancora oggi il visitatore di questi luoghi può ammirare l’originalità del paesaggio, funzionale ad un’agricoltura professionale e ad un turismo –anche straniero-, che mostra di essere sempre più sensibile alle bellezze territoriali.
Proseguendo lungo lo stivale per arrivare infine alle regioni meridionali, si ha nuovamente un cambio del modello agricolo; le abitazioni rurali sparse nei campi rispetto al Centro Italia sono infatti piuttosto rare. 
La popolazione agricola viveva concentrata in grossi centri che avevano dimensioni equivalenti a città di media grandezza. I centri pugliesi di Cisternino, Cerignola, Bitonto e Corato o quelli siciliani di Licata, Alcamo e Partinico, presentavano la medesima popolazione di Lecco, Legnano e Gallarate in Lombardia, o Settimo Torinese in Piemonte, ma se i centri del Nord erano abitati da operai ed impiegati che non avevano più alcun rapporto con l’agricoltura, nel Sud le città erano popolate dai lavoratori agricoli (piccoli proprietari, affittuari e, soprattutto braccianti), che ogni mattina, alle prime ore del giorno, si mettevano in viaggio verso i campi.
Grazie alla motorizzazione il disagio è diminuito, infatti un tempo bisognava raggiungere i campi a piedi o a dorso d’asino, con i braccianti e i contadini più poveri che dovevano presentarsi ogni mattina sulla piazza del paese, per cercare lavoro a giornata.
Alcune zone di pianura del Sud, almeno fino alla prima metà del Novecento, erano infestate dalla malaria e la scarsità di sorgenti d’acqua impediva un insediamento sparso. Le uniche case rurali sparse erano le masserie, che sorgevano al centro dei latifondi e servivano da abitazione ai sorveglianti del latifondista ed ai pochi salariati fissi13.
Oggigiorno la situazione è notevolmente cambiata, tuttavia in certe aree fertili del Sud Italia è presente una grave piaga sociale che ha per oggetto, al pari dei decenni precedenti, lo sfruttamento del lavoro: il caporalato. Questo grave fenomeno malavitoso non rappresenta certamente un indice evolutivo dell’agricoltura italiana e del Sud in particolare, anzi può essere inteso come un freno allo sviluppo.
A partire soprattutto dal secondo dopoguerra infatti, con la riforma agraria che assegna le terre del latifondo ai contadini e la creazione della figura del coltivatore diretto, si è diffuso un nuovo modello di agricoltura, caratterizzato rispetto al precedente per l’avanzamento delle tecniche agronomiche, la maggiore estensione delle superfici medie coltivate ed il miglioramento dei rapporti di lavoro (a titolo di esempio, si riportano il superamento della mezzadria, la legge sull’equo canone per l’affitto e l’istituzione della piccola proprietà contadina).
In questo contesto il paesaggio agrario e soprattutto nelle pianure più fertili del Paese, inevitabilmente si trasforma nell’arco di un ventennio.
Scompaiono quasi del tutto i cereali poveri quali miglio, spelta e farro per lasciare posto alle nuove varietà di grano duro, tenero ed orzo; in compenso compaiono nuove colture quali ad es. la soja (anni ottanta).
I filari di piante e le siepi che delimitavano i campi, vengono progressivamente eliminati perché ritenuti tare improduttive, costituenti un ostacolo al lavoro delle macchine operatrici.
Il perfezionamento dell’aratro e l’impiego di trattrici hanno consentito un’aratura profonda, larga, regolare, determinando un marcato incremento produttivo14Le falciatrici e le mietilegatrici (e successivamente, le mietitrebbiatrici), hanno rimpiazzato le falci e permesso di fare raccolti molto rapidi (fig. 5).

Fig. 5. Mietitrebbiatura del riso nel sud Milano. Foto A. Cantarelli


Lo sviluppo degli impianti di silos e dei frigoriferi, ha assicurato inoltre una migliore conservazione delle derrate alimentari.

Nel medesimo tempo i progressi nella scienza agronomica hanno permesso la selezione di nuove sementi, la selezione di animali pregiati, la formazione di stazioni sperimentali e l’implementazione di quelle già esistenti, rafforzata l’istruzione agricola ecc. L’agricoltore, cosciente dei bisogni della sua terra, si è preoccupato di migliorare l’equilibrio chimico del terreno, non accontentandosi più del letame della sua stalla (quando l’allevamento fosse stato ancora presente), bensì utilizzando abbondantemente (in diversi casi sovrautilizzando), i vari fertilizzanti che il progresso dei trasporti e dell’industria chimica, avevano messo a sua disposizione a basso prezzo (le prime crisi petrolifere, arriveranno negli anni settanta del secolo scorso, così come il fosforo nell’Adriatico o i nitrati nelle falde acquifere erano problematiche ancora sconosciute).

Tornando nel Nord, la monda è stata l’operazione con la quale si liberavano le risaie dalle erbe infestanti che vi crescevano (chi non ricorda il film “Riso amaro” di De Santis con la mirabile interpretazione di Silvana Mangano nei panni di una mondina?), strappate a mano, ad una ad una, appunto dalle mondine.

Oggi la monda si effettua prevalentemente per mezzo dei diserbanti, che combattono le erbe nocive senza danneggiare il riso.

Nel volgere di pochi decenni, i contadini che avevano arato con i buoi o con i cavalli da tiro, si erano così trovati a possedere strumenti radicalmente nuovi, che avevano consentito loro di aumentare la produttività dei raccolti e di migliorare la qualità del proprio lavoro.

Attualmente l’agricoltura di “precisione” o satellitare rappresenta un ulteriore traguardo della tecnica15.


Comparsa poco più di vent’anni orsono, avvalendosi dei moderni sistemi di localizzazione spaziale, dei sensori, dei computer ecc., essa permette di realizzare una gestione agronomica differenziata all’interno del singolo appezzamento. Sono in questo modo possibili interventi spazialmente differenziati e meglio calibrati, per quanto attiene le lavorazioni del terreno, le quantità delle sementi, le concimazioni, l’irrigazione, i diserbi, i trattamenti antiparassitari, così come vengono rilevati i dati produttivi. Quando le scelte si rilevano corrette, sono indubbi i vantaggi produttivi, economici ed ambientali.


Vi è a questo punto da rilevare che l’Ecologia agraria, ossia la scienza che studia le relazioni tra i vari membri dell’agro-ecosistema tenendo conto anche dell’intervento umano, era ancora dopo il secondo conflitto mondiale una disciplina poco conosciuta e maggiormente studiata in altre nazioni rispetto la nostra (e già allora con maggiori disponibilità di fondi per la ricerca), come ad es. gli USA. Non ci si preoccupava quindi fino agli anni sessanta, delle conseguenze di determinate azioni: tutto il “nuovo” appariva come prodigioso. 

Gli stessi principi ispiratori delle rotazioni agrarie (ne sono testimoni i numerosi articoli delle riviste di settore di quegli anni), erano messi in discussione ritenendone i benefici surrogabili dalle fertilizzazioni chimiche e dai principi attivi diserbanti.

Da oltre oceano iniziarono però ad arrivare notizie riguardanti gli effetti dell’uso improprio (in molti casi: abuso), di alcuni fitofarmaci. Nel 1963, sarà disponibile l’edizione italiana del libro della biologa americana Rachel Carson “Primavera silenziosa” (ma bisognerà aspettare diversi anni, prima che fosse riconosciuta anche da gran parte del mondo accademico, l’attendibilità dei dati riportati): una denuncia sugli effetti dell’abuso del diclorodifeniltricloroetano, molecola insetticida meglio nota come DDT .

Questo libro, il più noto, come altri di Autori altrettanto profetici, costituiranno l’ispirazione dei movimenti ambientalisti nei paesi occidentali, così come a metà degli anni ottanta si dovrà fare i conti con le emergenze causate nelle acque di falda dall’atrazina e dal molinate, diserbanti rispettivamente del mais e del riso…

La nascita delle agricolture biologica e biodinamica, hanno così rappresentato una risposta ad un sistema produttivo che –tra i tanti e diversi aspetti da considerare-, aveva in diversi casi largamente ecceduto nell’uso della chimica di sintesi.

L’agricoltura integrata non esclude invece a priori l’intervento della chimica di sintesi, bensì cerca di razionalizzarne il più possibile l’utilizzo, facendo leva sull’uso della modellistica previsionale delle avversità delle piante ed inoltre, sull’utilizzo di tutte quelle tecniche che consentano di limitare i trattamenti (es. ricorso alle rotazioni, impiego di varietà resistenti, pacciamature per le colture orticole, ecc.)16. Si erano così manifestati i primi campanelli di allarme di un certo modo di produrre, senza però dimenticare che anche il mondo scientifico si era nel frattempo interrogato (e la ricerca, in questo senso, non si ferma mai), sul come migliorare gli strumenti a disposizione dell’agricoltore, nonché dei destini ambientali delle molecole di sintesi utilizzate; in questo incalzati da una pubblica opinione sempre più sensibile alla salute dell’ambiente.

Non a caso sia l’agricoltura integrata che quella biologica (ultimamente anche quella definita “conservativa”), sono da diversi anni oggetto di specifici interventi previsti dai vari P.S.R 17.



L’agricoltura in particolare dagli anni sessanta del secolo scorso, ha iniziato così ad essere praticata in maniera uniforme su ampie estensioni di spazi agricoli, ed é soprattutto in pianura che è sparita la policoltura, rappresentativa di un’agricoltura di sussistenza . Sui vecchi terreni si sono intensificate le coltivazioni, è diminuito fortemente (laddove veniva praticato) il maggese come ordinamento colturale (ritornerà in voga con la riforma McSharry all’inizio degli anni novanta del Novecento, il cosidetto “set aside”, ma in ben altro contesto di politica agraria), le terre paludose sono state drenate e coltivate, ovunque sono spariti gli incolti (altro discorso riguarda invece il fenomeno dell’abbandono dei terreni di montagna –soprattutto appenninici-, a seguito della chiusura delle aziende agricole; fenomeno quest’ultimo, che si è accentuato in questi ultimi decenni, ma anche questo tema meriterebbe una trattazione a parte).

In Italia questa crescita imponente della produttività agraria, è stata resa possibile anche grazie alla creazione, nel 1962, di una politica agricola europea, avente lo scopo di creare progressivamente un Mercato Comune per tutti i prodotti agricoli, imponendo da un lato di fissare prezzi comuni per tutta la Comunità, dall’altro di dare la priorità ai prodotti della C.E.E, al fine di proteggere i propri agricoltori dalla concorrenza straniera18.
A questo scopo, la C.E.E ha creato una tassa sulle importazioni agricole (“prelevamento”), per scoraggiare i Paesi membri che volessero acquistare a prezzo inferiore, i prodotti provenienti da confini extracomunitari.
Inoltre se il prezzo fosse sceso al di sotto di un certo livello fissato dal F.E.O.G.A (Fondo Europeo di Orientamento e Garanzia Agricola), la Comunità sarebbe intervenuta acquistando dagli agricoltori i prodotti ad un “prezzo garantito”, più elevato di quello di mercato (questo meccanismo è ancora in essere ma la “forbice” tra i prezzi si è notevolmente abbassata negli anni). Questo sistema ha funzionato per i cereali, lo zucchero, le piante oleaginose, il latte, l’olio di oliva, i bovini ed il vino.
Con il passare degli anni si é progressivamente verificato un grave problema: con questo sistema i produttori sono stati incoraggiati a continuare a produrre quelle merci che erano già difficili da vendere, perciò hanno creato di anno in anno nuove eccedenze che il F.E.O.G.A ha dovuto alla fine acquistare. Tale sistema, dunque, é diventato causa delle eccedenze o sovrapproduzioni.


Bibliografia essenziale consultata
  • Presso la biblioteca dedicata ad Antonio Bizzozero, insigne agronomo e cattedratico ambulante, a Parma nel periodo 2011-2014 si sono tenuti in successione temporale i seguenti convegni, aventi per oggetto la divulgazione delle più recenti acquisizioni nelle Scienze agrarie:
  • “I Georgofili a Parma. L’Accademia dei Georgofili e lo sviluppo delle Scienze agro-alimentari”;
  • “Viaggio attraverso un secolo di agricoltura parmense: da Bizzozero all’agricoltura moderna”, con presentazione del vol. VI° della “Storia delle Scienze Agrarie” di Antonio Saltini;
  • “Agricoltura sostenibile. Principi, sistemi e tecnologie applicate all’agricoltura produttiva per la salvaguardia dell’ambiente e la tutela climatica”; 
  • “Il Novecento: la sfida tra le conoscenze agronomiche e la crescita della popolazione del Globo”, presentazione del vol. VII° della “Storia delle Scienze Agrarie” di Antonio Saltini;
  • Presentazione del volume “Entomologia Applicata” di Aldo Pollini.
Le relazioni si possono trovare all’indirizzo:
http://www.biblioteche.comune.parma.it/civica/it-IT/Fondo-Biblioteca-Bizzozero.aspx
  • 10Agostini S., I valori territoriali, culturali e sociali del patrimonio rurale. In Cantù E. (a cura di), op.cit, pp. 137-149.
  • Branduini P., Paesaggio e Agricoltura. In Cantù E. (a cura di), Ibidem, pp. 123-136;
  • Frazzi E., Agricoltura, Ambiente e Paesaggio. ISU-Università Cattolica, Milano, 2003.
  • 11Bonciarelli F. Agronomia. Edagricole, Bologna, 1990, pp. 87-114;
  • Giardini L., L’Agronomia per conservare il futuro. Patron editore, Bologna, 2012, pp. 335-385;
  • Cfr. Landi R., Agronomia e Ambiente. Edagricole, Bologna, 1999.
  • 12Cantarelli A., Considerazioni sulle sistemazioni idraulico agrarie, l’attività agricola e il paesaggio nei terreni collinari emiliani. In Bonini G., Visentin C. (a cura di), pp. 281-286;
  • Pazzagli R., Un parroco “agronomo” nella Toscana del Settecento. Introduzione a I saggi di Agricoltura di Giovan Battista Landeschi. Ed. ETS, Pisa, 1998, pp. 7-34.
  • Cfr. Sereni E., Storia del paesaggio agrario italiano. Ed. Laterza Roma-Bari, 2004 (XIIa ed.).
  • 13Caizzi A., Carazzi M. (a cura di), Spazi e Civiltà. Vol. 1, Giunti Marzocco, Firenze, 1984, p.130-131;
  • Sereni E., Il capitalismo nelle campagne. Piccola biblioteca Einaudi, Torino, 1980 (IVa rist.).
  • 14In questi ultimi anni anche la scuola agronomica ufficiale, alla luce delle vaste acquisizioni in campo nazionale ed internazionale, ha fortemente riconsiderato l’efficacia del lavoro di aratura; al riguardo è stata definita come agricoltura blu o conservativa, quel tipo di agricoltura che non fa uso dell’aratro, consentendo di preservare in primo luogo il tasso di sostanza organica e la struttura del terreno. Al riguardo, per ulteriori approfondimenti:   
          Bartolini R., La nuova agricoltura. Percorsi agronomici sostenibili per i cereali. Edagricole,                 Bologna, 2012; 
          Giardini L., op.cit., pp. 149-198;
          Cfr. Pisante M., (a cura di), Agricoltura sostenibile. Edagricole, Bologna, 2013;
          Tabaglio V., Gestione del suolo. In Pisante M. (a cura di), op. cit., pp. 93-123.

  • 15Basso B., Sartori L., Agricoltura di precisione per la sostenibilità degli agroecosistemi. In Pisante M., (a cura di), op. cit., pp. 271-296;
  • Cfr Bertocco M. Agricoltura di precisione. Ed. L’informatore Agrario, Verona, 2010;
  • Giardini L., op.cit.,pp. 613-614.
  • 16Battilani P., Cravedi P., Le avversità delle colture: funghi patogeni e insetti. In Pisante M. (a cura di), op. cit., pp. 249-269;
  • Giardini L., op. cit.,pp. 533-575;
  • Montemurro P., Fracchiolla M. La gestione della flora infestante. In Pisante M. (a cura di), op. cit., pp. 231-247.
  • 17Paris P., Desolazioni e chimere in tema di ecologia. Vita e Pensiero, ottobre 1998, pp. 698-715;
  • Cantarelli A., 2014. I nuovi P.S.R rilanceranno l’agricoltura italiana? http://agrariansciences.blogspot.it/2014/10/i-nuovi-psr-rilanceranno-lagricoltura.html
  • 18Caizzi A., Carazzi M. (a cura di), Spazi e Civiltà. Vol. 2,Giunti Marzocco, Firenze, 1984, pp. 96-97.
1ª parte
Alessandro Cantarelli
Laureato in Scienze Agrarie presso la Facoltà di Agraria di Piacenza, con tesi in patologia vegetale. Dal febbraio 2005 lavora presso il Servizio Territoriale Agricoltura Caccia e Pesca di Parma (STACP), della Regione Emilia Romagna (ex Servizio Provinciale), dapprima come collaboratore esterno, successivamente come dipendente. E’ stato dipendente presso la Confederazione Italiana Agricoltori di Parma. Ha svolto diverse collaborazioni, in veste di tecnico, per alcuni Enti, Associazioni e nel ruolo di docente per la formazione professionale agricola. Iscritto all’Ordine dei dottori Agronomi e Forestali ed alla FIDAF parmensi.





6 commenti:

  1. altri punti di vista sull'opera dell'autrice "profetica"

    http://www.21stcenturysciencetech.com/articles/summ02/Carson.html
    http://rachelwaswrong.org/
    http://archiviostorico.corriere.it/2006/settembre/17/Contrordine_dall_Oms_Ddt_puo_co_9_060917027.shtml

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    1. Spett.le sig. Anonimo,
      anche se sono passati 53 anni dall'uscita di Silent Spring, questo testo continua a suscitare polemiche. Se da un lato l'Ecologia si propone di risolvere problemi ambientali con teorie appropriate, a R. Carson l'indubbio merito di avere creato una forte sensibilizzazione sui temi ecologici.
      Dal testo di Eugene P. Odum in avanti, non vi é infatti alcun trattato di Ecologia che non menzioni delle concentrazioni di sostanze tossiche e del DDT lungo le catene alimentari, quindi dei fenomeni del bioaccumulo e magnificazione biologica.
      D'altra parte lo stesso Prof. Antonio Servadei (come saprà uno dei maggiori entomologi europei e curatore dell'ed. italiana di S. Spring), nella prefazione all'ed. italiana sosteneva che bisognava prendere rapidamente atto, di quello che stava per essere proposto al pubblico italiano (anni '60), quindi cambiare tipo di approccio alle problematiche parassitarie in agricoltura e porvi rimedio! Per la caratura del personaggio, non era tipo di facili abbagli, sono sicuro.
      Nel decennio 1960-1970 si contarono a decine gli interventi ed i moniti di autorevoli scienziati che, fossero stati minimamente intesi dai rappresentanti politici delle società evolute, non avrebbero determinato il nascere dei movimenti ecologisti dalle più sfaccettate tonalità ideologiche, irridendo così quel tanto di necessaria unità che facesse da contraltare ad una chiara visione dell'universalità dei problemi.
      Ben diverso é infatti l'atteggiamento di taluni "profeti dell'Apocalisse", che cercano di convincere il politico di turno che l'azione correttiva deve essere intrapresa...magari con quel "profeta" in veste di consulente. Ma queste sono altre storie.

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  2. per precisione: l'uso di atrazina e molinate non si è certo limitato a mais e riso. In particolare la prima, dato il basso costo e l'ampio spettro di azione può essere considerata di impiego pressochè ubiquitario e preferenziale in ambito extra agricolo (dove con tutta probabilità i sovradosaggi erano all'ordine del giorno).
    in quanto alle falde, all'epoca, visto anche il concomitante raffinarsi degli strumenti di indagine, si è trovato un pò di tutto.
    dei solventi e dei metalli si è però parlato poco, anche se mancano prove di una migliore funzionalità di un apparato digerente sgrassato e cromato

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    1. Il suo rilievo sull'utilizzo dei due principi attivi é certamente corretto (sarebbe altrettanto interessante dissertare sulle cause di inquinamento delle acque di falda da parte dei due p.a.), ma faccio notare che il mio articolo é incentrato sull'evoluzione in agricoltura e non sui metodi di lotta alle piante infestanti.
      Negli anni Ottanta del secolo scorso, furono le ordinanze sul divieto di utilizzo dei due menzionati principi diserbanti, da parte dei sindaci soprattutto nel Nord Italia, a creare nella società una nuova presa di coscienza attorno a tematiche fino a quel momento praticamente sconosciute ai non addetti; si consideri infatti che fino a 20-25 anni prima in risaia le infestanti venivano strappate ancora mano ed era ancora vivo il ricordo della nutrita rappresentanza faunistica (rane e pesci d'acqua dolce) che caratterizzavano l'ambiente di risaia.

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    2. appunto, ordinanze, come ricorderà bene, basate sul recepimento (a differenza di altri stati che ben se ne guardarono e a differenza di moltissime altre occasioni che videro anche multato il nostro paese per il ritardato o mancato recepimento) di direttive comunitarie che introducevano valori soglia in buona parte arbitrari. Ricorderà anche che ne seguirono revoche, sospetti degli addetti ai lavori verso i beneficiari (acque minerali e produttori delle molecole sostitutive) e polemiche a non finire (e anche senza senso a questo punto della vicenda). Mi permetto di dubitare che le ordinanze abbiano creato nella società una presa di coscienza e non un clima di sospetto verso tutti e verso tutto, ma se così fosse c'è da chiedersi come mai la stessa cosa non si sia verificata quando nelle falde si pescavano idrocarburi, solventi, metalli, ma anche se la "nuova presa di coscienza" sia quella che oggi e da tempo si oppone irragionevolmente e capillarmente a ogni tentativo di innovazione per seguire acriticamente i nuovi profeti (quelli che sono tali senza altro merito che lo sfruttamento, anche parecchio becero e post sessantottino della nuova presa di coscienza)

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    3. Alessandro Cantarelli6 ottobre 2015 alle ore 20:38

      Per completezza ed a proposito di ordinanze, ai due diserbanti richiamati nel mio scritto va aggiunto anche il diazinico bentazone.
      Per chi volesse ripercorrere le vicissitudini dell’epoca, in rete si trovano ancora le cronache delle ordinanze dell’allora ministro Donacattin, quindi del “ballo” della virgola sui limiti massimi consentiti nelle acque.
      Ho parlato del riso, ma altrettanto l’impiego dell’atrazina nel mais (e della simazina), rappresentò un punto di svolta per l’agronomia (e l’agricoltura) del secondo dopoguerra: come ho scritto si passava rapidamente da sistemi di tipo policolturale a sistemi monocolturali (quando non di monosuccessione), nei quali il ricorso dapprima alla scerbatura-sarchiatura, veniva sostituito dal diserbo ad applicazione suolo, in cui era importante lasciare intatto il terreno.
      Saranno i concetti di lotta integrata alle infestanti quindi di agricoltura sostenibile, a reintrodurre quelle operazioni di controllo fisico delle infestanti (nell’interfila, per rimanere nel mais), quindi introdurre nuovi concetti quali le “soglie di intervento” o il “periodo critico” delle colture, così come l’indirizzare la pratica agricola verso i trattamenti di post emergenza , ad es.
      Ma anche la chimica ha fatto progressi, mediante l’introduzione di molecole meno persistenti nell’ambiente e meno tossiche per la fauna, così come la legislazione comunitaria ha portato anche recentemente ad una integrale revisione degli antiparassitari utilizzabili in agricoltura. In pochi decenni, la lotta alle malerbe ha subito notevoli aggiustamenti.
      Considerando nuovamente il riso, i nuovi principi diserbanti (fondamentalmente meno persistenti dei precedenti), hanno portato a dovere effettuare delle asciutte per potere essere applicati: asciutte non esenti però da ripercussioni negative sulla fauna selvatica, ma anche in questo caso la ricerca di nuove soluzioni non si ferma.
      Per tornare al suo appunto, dagli anni ’80 ad oggi anche le tecniche di comunicazione, al pari della società, sono cambiate notevolmente: allora non c’era internet e sicuramente un manifesto affisso a firma del sindaco destava più stupore di quanto possa oggi, senz’altro. Ma se ancora recentemente sul principale quotidiano nazionale c’è chi parla di agricoltura come di una fabbrica di inquinamento tout cort (si legga l’ articolo di risposta sulle “campagne avvelenate” del prof. Mariani su queste pagine), a mio parere significa semplicemente cavalcare furbescamente un sentimento diffuso (a torto o a ragione), allo scopo di creare divisioni.
      Non a caso Davy a proposito dei diserbanti, li definisce come inquinanti della sociosfera piuttosto che della biosfera.
      Concordo con lei quando afferma che anche solventi e metalli, aggiungo io in gran parte anche di provenienza extra agricola e da fonti eterogenee, sono (o sono stati), causa di inquinamento.
      D’altra parte, queste forme di polluzione hanno accompagnato una società che è andata rapidamente trasformandosi in tutti i settori ma, per rimanere all’oggi, inviterei gli “ecologisti” a non prendere di mira solo chi coltiva i campi o fa ricerca (come abbiamo visto frequentemente non a ragione), ma anche di alzare lo sguardo verso...il cielo, magari esercitandosi a stimare quante tonnellate di cherosene vengano bruciate per i assicurare i viaggi“low cost” (formula sconosciuta negli anni ’80), quindi stimare i metalli pesanti che vengono depositati al suolo (oltre ad i gas serra ed allo smog). Una volta fatto questo esercizio, in quanti sarebbero comunque disposti a rinunciare ad una vacanza alle Maldive, per ridurre l' impronta ecologica?

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