sabato 21 novembre 2015

Meglio tanta che buona: la carne in tempo d'autarchia

                                                                                                                    
 di Sergio Salvi


"Wikipedia"

Tra le conseguenze dell’applicazione delle sanzioni internazionali a carico dell’Italia in seguito all’occupazione dell’Etiopia (1936) vi fu anche quella dello stop all’importazione di carne di manzo dall’estero. Di “inique sanzioni” si parla anche in una review di Cesare Orlandini, ricercatore presso l’Istituto di Zootecnia e Fisiologia dell’Università di Camerino, dedicata al valore alimentare delle carni. Dopo aver passato diligentemente in rassegna i vari tipi di carne e le relative caratteristiche nutrizionali, Orlandini chiude il suo scritto con una tirata “antisanzionista”, ossia diretta contro i Paesi appartenenti al fronte anti-italiano (anche se forse sarebbe più corretto dire “anti-fascista”), fino a poco tempo prima rifornitori di carne bovina per il nostro Paese. Il “me ne frego” del ricercatore camerte si tradusse, in pratica, nell’affermare che l’Italia poteva benissimo fare a meno dei manzi d’Oltralpe perché, a detta sua, poteva egregiamente sopperire a tale lacuna ricorrendo agli animali da cortile, alla selvaggina e al pescato, tutti rigorosamente italici.

Dai toni meno “politici” ma ugualmente ligi alle direttive di regime appaiono, invece, gli scritti di un altro ricercatore, Fotide Patrizi, attivo presso un Istituto di Approvvigionamenti Annonari - dal nome più simile ad un reparto dell’esercito che non ad un istituto universitario - presente, all’epoca, in seno alla Facoltà di Medicina Veterinaria dell’ateneo marchigiano.
Patrizi, autore di alcune pubblicazioni dedicate alle rese alla macellazione del bovino di razza Marchigiana, era un sostenitore della quantità a scapito della qualità: in altre parole, sosteneva che era meglio allevare vitelloni interi che castrati, perchè - questo il suo ragionamento - ammesso e non concesso che la carne di vitellone castrato, notoriamente più grassa di quella di vitellone intero, fosse migliore qualitativamente, era all’incremento della resa quantitativa che si doveva principalmente puntare, e in questo il vitellone intero rispondeva meglio, seppur di poco, rispetto al castrato. Il tutto anche in ossequio ad un tale Ostertag, zootecnico della Germania nazista, il quale affermava «…che si dovesse in ogni caso tener conto, specie nella dura eventualità di un conflitto armato, della possibilità di avere un maggior sviluppo ponderale mediante l’allevamento di giovani bovini interi».
La “dura eventualità” di cui scriveva lo zootecnico tedesco si presentò di lì ad un anno appena, con l’invasione della Polonia da parte di Hitler e tutto quel che ne fece seguito.
Il messaggio del “tanta è meglio che buona” professato in odore di guerra è del tutto in controtendenza, manco a dirlo, con l’odierna ricerca della “qualità a più non posso” che invade tutti i settori del mercato agroalimentare, sottolineando il distacco esistente tra due epoche sì lontane tra loro, ma anche molto simili sopratutto in relazione alle forme di protezionismo esasperato (a volte assimilabili e vere e proprie guerre, anche se combattute a suon di “disinformazione”) che, oggi come allora, continuano ad essere propagandate. Ne è un eloquente esempio il manifesto riprodotto nella figura inclusa in questo articolo: lo slogan, ad ottant’anni di distanza, è lo stesso che possiamo leggere oggi in certi moderni proclami del “made-in-italy-sempre-e-comunque”.


Bibliografia
 
Orlandini C., 1936. Il valore alimentare delle carni, Bollettino della Società Eustachiana di Camerino, Vol. 34, pp. 51-60.
Patrizi F., 1938. Osservazioni e ricerche comparative sul peso vivo, sul reddito medio, sulla resa percentuale dei prodotti alimentari e industriali, dei singoli tagli, delle ossa principali e sulla qualità delle carni di vitelloni interi e castrati di razza marchigiana, Azione Veterinaria, Vol. 7, pp. 424-432
Patrizi F., 1939. Sul valore nutritivo delle carni di torello e di vitellone, Azione Veterinaria, Vol. 8, pp. 457-462.
Salvi S., 2015. Il ruolo dell’Università di Camerino nella ricerca scientifica agroalimentare tra Ottocento e Novecento (1861-1961), Scuola di Bioscienze e Medicina Veterinaria - Università degli Studi di Camerino.

Sergio Salvi
Laureato in Scienze Biologiche presso l’Università di Camerino, nel corso della sua attività di ricercatore si è occupato di genetica lavorando presso Enti di ricerca pubblici e privati. Attualmente svolge attività di ricerca e divulgazione storico-scientifica su tematiche riguardanti il settore agroalimentare e la genetica agraria in particolare (biografia storico-scientifica di Nazareno Strampelli, origine ed evoluzione delle varietà tradizionali di frumento e del concetto di prodotto tipico, recupero di varietà agrarie d’interesse storico).









10 commenti:

  1. "Gli italiani devono mangiare una sola volta al giorno per mantenere la rabbia in corpo" (Mussolini) e aggiungo io: "coprirsi con il lanital, vestirsi di rayon e cafioc, calzare scarpe di salpa e bere ciofeca". Questo si che era il vero "made in Italy" non quello di oggi fatto con materia prima importata.

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  2. Sarebbe interessante iniziare un dibattito su differenze e similitudini tra autarchia, km0 e sovranità alimentare. Credo che potremmo provare a chiarire alcune confusioni concettuali molto diffuse.

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  3. Durante l'autarchia l'Italia volle " fare da se' " in risposta alle sanzioni, in un rigurgito di nazionalismo che contribui a farla ripiegare su se stessa, trovando alleati naturali con i propri simili: la Spagna franchista e poi la Germania nazista.
    Oggi come ieri, sebbene per cause differenti, c'e' un'incapacita' a relazionarsi con gli altri Paesi evoluti in materia agroalimentare che ha portato al diffondersi di mode che hanno un effetto rassicurante: il chilometro zero, i frumenti "antichi", il cibo di una volta, i prodotti tipici locali. Anche questa e' autarchia, se non altro culturale. Penso che il denominatore comune, ieri come oggi, sia l'incertezza della collocazione del nostro Paese nella societa' globale: ieri l'incertezza riguardava la collocazione in un mondo che stava transitando verso la democrazia, oggi l'incertezza riguarda la collocazione in un mondo sempre piu' globalizzato.
    In entrambi i casi in ballo c'e' il destino della nostra identita' in un mondo che evolve.
    Sergio Salvi

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    1. Concordo pienamente!

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    2. Concordo pienamente, ma accanto a questa raffinata analisi culturale credo sia necessario considerare anche fattori più volgarmente economici. Credo che spesso certe operazioni che menzioni mascherino una forma di neo protezionismo. Ho sentito dire che bisogna difendere la tipicità della fragole siciliane, perché se arrivano quelle marocchine i produttori non saprebbero come competere

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  4. Perché parlare di Km 0 solo per il cibo e non per, un vestito, una macchina, un detersivo e poi promuovere i nostri prodotti all' estero come fa la Coldiretti e Slow Food.

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  5. MI chiedo: come si può parlare di km 0 per il "made in Italy" agroalimentare quando il 50% della materia prima con cui è fatto è importato? Come si fa ad arrabbiarsi con le imitazioni dei nostri prodotti quando chi li imita (per fortuna fino ad ora molto grossolanamente) può dire che sono fatti solo con materia prima nazionale, ed è una sacrosanta verità?
    Occorre che invece di andare a "cercar farfalle" che il nostro "non ministro" dell'agricoltura si adoperi a creare un'agricoltura più professionale, adegui la superficie delle strutture agricole e faccia diventare il tutto più competitivo e produttivo.

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  6. A mio avviso, potremmo fare anche un altro genere di parallelismo: quello sul pensiero unico. Ieri il pensiero unico era quello di Mussolini e di un regime dittatoriale che coincideva con lui. Oggi, in contesto democratico e con un'alternanza di governi di differente colore politico, i vari ministri si fanno portavoce di un "pensiero" in ambito agroalimentare che e' sempre lo stesso, quindi anch'esso unico (vedi l'atteggiamento sugli ogm o sul biologico). Pensiero unico che pero' ha molti "mandanti" interessati (questo almeno e' democratico...). Che ne pensate?
    Sergio Salvi

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  7. Vi invito a visitare questo sito ufficiale della COOP (http://www.e-coop.it/web/guest/cooporigini;jsessionid=4IeBNNTajJMM5Hgf5cL+Ss3R.liferay-01), tra le più attive organizzazione di cooperative anti-OGM, a favore del KM0 e dei prodotti italiani, se digitate, ad esempio, pizza margherita, prodotto per eccellenza italiano, ecco la lista dei paesi delle materie prime per prepararla:
    FARINA DI FRUMENTO | ITALIA AUSTRIA FRANCIA GERMANIA UNGHERIA
    MOZZARELLA | GERMANIA PAESI BASSI POLONIA REPUBBLICA CECA
    POMODORO | ITALIA

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  8. Naturalmente i prodotti sono tutti a marchio COOP e non di altre marche.

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