giovedì 15 giugno 2017

Grani antichi e salute: una proposta di linee guida per l’attuazione di trials clinici credibili.


di Sergio Salvi



Più volte, anche su questo blog, si è discusso dei presunti effetti salutistici derivanti dal consumo di prodotti a base di “grani antichi”. La questione, tutt’altro che dimostrata scientificamente, pone dei dubbi che necessitano di chiarezza su cosa c’è di vero e cosa c’è di falso intorno alle affermazioni che circolano in materia. L’unica possibilità di chiarire una volta per tutte gli interrogativi sollevati non può che passare attraverso l’allestimento di trials clinici condotti secondo criteri tali da fugare ogni dubbio sulle conclusioni ricavabili da essi. In caso contrario, persistendo il sistema attuale di approcciare lo studio delle relazioni tra “grani antichi” e salute, le uniche a guadagnarci saranno la confusione e la “libertà” di poter fare ogni genere di affermazioni, da parte di chiunque, sulla questione.
Senza alcuna pretesa di assurgere ad esperto, ma esclusivamente sulla base della mia personale conoscenza dell’argomento e del retaggio che mi deriva da studi svolti in ambito biomedico negli anni passati, provo a proporre gli abbozzi di quelle che potrebbero essere delle future linee guida da adottare nell’allestimento di trials clinici credibili:

  • Allestire sempre trials clinici secondo lo schema sperimentale del doppio cieco randomizzato con controllo del placebo: solo da qualche anno a questa parte questa raccomandazione viene seguita da chi si occupa di allestire questo genere di studi. Fino a qualche anno fa, gli studi erano condotti a singolo cieco o addirittura senza alcun accorgimento del genere. Il doppio cieco randomizzato è necessario per far sì che né i pazienti né gli esaminatori possano essere influenzati da sensazioni o impressioni soggettive nella risposta al trattamento (effetto placebo o nocebo nei pazienti) e nella formulazione delle valutazioni (tendenza a dare enfasi ai risultati attesi a scapito dell’obiettività da parte degli esaminatori);

  • Aumentare considerevolmente il numero dei soggetti (almeno duecento) sottoposti ai trials clinici: finora gli studi di causa-effetto sui “grani antichi” sono stati svolti al massimo su 45 soggetti (pazienti), ma nella maggior parte dei lavori pubblicati il numero si attesta addirittura intorno ai 20 soggetti. Campioni così ridotti possono dare seguito a fluttuazioni statistiche tali da distorcere il peso del risultato ottenuto, sia esso negativo o positivo, rischiando di far prendere “lucciole per lanterne” (sebbene siano gli stessi ricercatori ad ammettere che i loro risultati sono da considerare come preliminari e non esaustivi);
  • Nel caso si somministrino singole varietà, evitare di generalizzare le conclusioni pro o contro ciascuna categoria di frumenti (“antichi” vs “moderni”) ma limitarle alle singole varietà testate: finora i lavori pubblicati pongono a confronto al massimo due o tre varietà di “grani antichi” con altrettante di “grani moderni”, ma il messaggio che poi arriva al pubblico - non di rado impostato ad arte dagli stessi ricercatori - parla genericamente di “grani antichi” e “grani moderni”, e non delle specifiche varietà. In altre parole, si tende a generalizzare i risultati ottenuti su pochissime varietà estendendoli alla categoria di appartenenza delle varietà stesse;
  • Al fine di poter generalizzare le conclusioni pro o contro ciascuna categoria di frumenti, somministrare ai soggetti in esame non delle singole varietà bensì dei pools di diverse varietà “antiche” vs “moderne” (almeno dieci per ogni pool): le generalizzazioni, per poter essere credibili, devono poter rappresentare le caratteristiche di un insieme di componenti, e non quelle di un singolo componente preso separatamente. Allestire dei pools di farine di “grani antichi” e di “grani moderni” con i quali preparare i prodotti da somministrare durante i trials rappresenta l’unico modo per poter attribuire il risultato ottenuto ad una specifica categoria tra quelle in esame.
Da ultimo, vi è anche una raccomandazione che riguarda il principale problema che grava sull’allestimento di trials clinici strutturati nel modo sopra descritto, che è quello dei costi molto alti, soprattutto per via dell’elevato numero di pazienti da gestire. Se la singola università o il singolo ospedale non hanno le risorse per mettere in piedi studi del genere, che diano vita a un consorzio di enti capace di disporre delle adeguate risorse necessarie al loro svolgimento, ovvero di attrarle qualora si debba procedere con la sottomissione di un progetto di ricerca comune. Diversamente, nel campo dei “grani antichi” continueranno a pascolare ed ingrassare solo le bufale.



Sergio Salvi
Laureato in Scienze Biologiche presso l’Università degli Studi di Camerino, nel corso della sua attività di ricercatore si è occupato di genetica batterica, genetica medica, OGM, genetica agraria e vegetale, lavorando presso Enti di ricerca pubblici e privati. Attualmente si dedica alla ricerca e alla divulgazione storico-scientifica su tematiche riguardanti il settore agroalimentare. È Socio corrispondente della Deputazione di Storia Patria per le Marc
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1 commento:

  1. Come tu ben dici Sergio occorre usare dei pools di varietà antiche e di varietà moderne. Però se è abbastanza facile definire a priori un fenotipo di una varietà moderna, non così facile è definire ora un fenotipo di varietà antica e soprattutto mantenerlo stabile. Questo è essenziale affinché i trials clinici ripetuti utilizzino materiale di partenza verosimilmente uguale da un punto di vista del corredo genetico. A me rimane sinceramente il dubbio che dal momento di creazione della varietà antica ad oggi siano intervenuti tali e tante modifiche che ecotipi di varia provenienza della stessa varietà non rispecchino più l'originale e che soprattutto non esista un materiale di base di confronto a cui riferirsi.

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