domenica 21 aprile 2019

CONTRO LA DISINFORMAZIONE SULL’EPIDEMIA DI XYLELLA FASTIDIOSA



Gruppo Informale SETA – Scienze e Tecnologie per l’Agricoltura
Nonostante anni di dibattito e di dati provenienti dalla ricerca – e nonostante le recenti prese di posizione ufficiali finalmente allineate con quanto la comunità scientifica nel suo insieme va dicendo da tempo – una vocale e variegata minoranza propone ancora al pubblico dibattito argomenti a dir poco fuorvianti sul tema della Xylella fastidiosa, additando rischi catastrofici per la salute e l’ambiente attraverso l’impiego di vecchie e nuove affermazioni con poco o nessun fondamento. Rischi sui quali, come fatto anche in passato, si persevera nel produrre illazioni senza però portare mai alcuna evidenza scientifica accettabile.


Val quindi la pena di esaminare ancora una volta il tipo di retorica e i classici luoghi comuni di stampo cospirazionista che sono stati nuovamente fatti circolare, prendendo a esempio un recente documento – riportato nei suoi punti fondamentali su di un quotidiano nazionale da una delle sue principali promotrici – che ha lo scopo di raccogliere firme in opposizione al decreto in corso di approvazione, avente fra i suoi articoli anche alcuni volti a potenziare e semplificare le misure di contenimento dell’epidemia di Xylella fastidiosa.


Cominciamo dal primo luogo comune, quello dei “potenti interessi corporativi”: parole buone per ogni uso, utili a rinvangare i sospetti su fantasmagorici complotti della Monsanto, dei poteri forti, dei “distruttori di mondi” guidati da freddi scienziati o da misteriose multinazionali interessate a desertificare la Puglia, come è stato sostenuto. Chi siano i portatori dei “potenti interessi corporativi” non è dato sapere e forse nemmeno interessa ai firmatari stessi del documento: l’importante è dare a intendere che loschi individui – addirittura si adombra che siano le cosiddette “agromafie” – tramino per la distruzione del paesaggio, della salute e della democrazia, attraverso un ben preciso e orchestrato piano: la sostituzione dell’agricoltura tradizionale con “pericolosi monocultivi industriali ad alto impatto ambientale”, in nome del profitto e in spregio del bene comune. Dove sarebbero le prove di questo piano volto ad usare la Xylella per ottenere un simile risultato? E quali sarebbero i fatti, non le chiacchiere, a supporto di simili affermazioni? Quali sarebbero i “monocultivi industriali ad alto impatto ambientale” pronti a essere utilizzati, e quali le aziende con capacità tali da colonizzare la Puglia desolata dalla Xylella?


Come già accaduto in passato, tutto ciò non è dato ovviamente sapere. E senza evidenze chiare, il dibattito è impossibile. Alquanto probabile invece la capitalizzazione delle paure suscitate, secondo meccanismi ben noti e molto usati.

Arriviamo alla seconda affermazione gratuita: il decreto emergenze rappresenterebbe per un certo pseudo-ambientalismo “l’ennesimo esempio di questo asservimento degli interessi del pubblico a quello dei grandi poteri corporativi”. Ancora parole vuote, ancora il Moloch delle grandi corporazioni e del grande vecchio che manovra i burattini della politica. Dopo anni di esami, discussioni, analisi in tutte le sedi, per tali sobillatori impenitenti la discussione in Parlamento, le conclusioni di una indagine conoscitiva della Camera, le raccomandazione EFSA, le linee guida europee, le leggi del governo precedente e di quello attuale qnon avrebbero che un unico scopo: servire interessi inconfessabili.

E arriviamo quindi al terzo spauracchio, quello del pericolo democratico: si afferma che il legislatore starebbe riducendo “la gestione delle emergenze fitosanitarie a una mera questione di carattere agronomico, senza considerare che le stesse, così gestite, possano innescare pericolose derive ambientali, sanitarie e democratiche.” Si dice anche esplicitamente che si vorrebbero imporre “deroghe alla Costituzione, nonché alle leggi nazionali e regionali atte a salvaguardare la salute delle persone, dell’ambiente e delle libertà personali, non per proteggere i cittadini bensì per tutelare comparti agroindustriali ed economici. Con conseguenze gravissime in quanto l’agricoltura, […]”. Nonostante una sentenza della Corte Europea, gli innumerevoli ricorsi amministrativi (tutti respinti) e la dimostrazione in più sedi dell’insussistenza giuridica della paventata incostituzionalità delle misure di contenimento previste per la batteriosi pugliese, si chiede ancora in nome di un malinteso principio di democrazia di bloccare quelle misure che, ad oggi inattuate, hanno portato alla devastazione del Salento proprio in nome di chi fantasticava di “attentati alla democrazia”, con il risultato che, mentre la nostra democrazia è viva e vegeta, gli ulivi sono morti. Paradossalmente, in nome di paventati rischi per l’agricoltura, si dimenticano le distruzioni già ottenute a causa di queste paure irrazionali diffuse tra la popolazione; il tutto inseguendo il proprio tornaconto, in termini elettorali, di consenso sul territorio e in qualche caso pure economico.

Si descrive infine così quello che sarebbe il piano nascosto da bloccare: “Con il pretesto dell’emergenza Xylella si stanno imponendo irrorazioni con migliaia di tonnellate di pesticidi (in particolare neonicotinoidi e piretroidi, alcuni dei quali messi al bando dall’UE perché estremamente tossici per persone e animali, in particolare per gli insetti impollinatori) in aree urbane e rurali; utilizzo di fitofarmaci anche in aziende biologiche (decretandone di fatto la riconversione delle stesse al convenzionale); eradicazione di piante secolari e monumentali, anche in violazione ai vincoli idrogeologici (esponendo così i cittadini a rischi altissimi) e paesaggistici (inficiando pesantemente sul settore turistico e sull’economia locale); reimpianti di cultivar brevettate (FS-17) e autosterili (Leccino), idonee a un modello agricolo intensivo e super intensivo, che richiederà ampio uso di mezzi meccanici, fitofarmaci e input idrici, per produrre un olio competitivo sul mercato internazionale (a basso prezzo e bassa qualità), che di fatto soppianterà una produzione fondata su piccole imprese e aziende familiari a favore di grandi latifondi e dalla GDO. Con tutto ciò che ne consegue per le falde acquifere già contaminate e un suolo ormai irrimediabilmente compromesso.”


Da notare la logica di questi passaggi: in sostanza, la Xylella non sarebbe un problema gravissimo, ma un pretesto per vendere pesticidi a tonnellate. Parlare di “migliaia di tonnellate”, infatti, impressiona sempre l’opinione pubblica, la quale purtroppo non sa che gli usi italiani di agrofarmaci sono calati di quasi un terzo in 30 anni e i soli insetticidi si sono dimezzati dal 2000 a oggi. Gravissimo inoltre affermare che verrebbero usati prodotti banditi, in quanto i prodotti utilizzabili sugli ulivi sono tutti regolarmente registrati e autorizzati in tal senso presso il Ministero della Salute. Pure si fornisce una percezione distorta dei reimpianti, con cultivar prese – secondo i firmatari – non perché siano le uniche finora trovate in grado di resistere alla malattia, bensì perché utili ad impiantare la monocultura intensiva. Eppure, se gli estensori di certi documenti si degnassero di conoscere davvero le cose, saprebbero che Leccino e Favolosa non presentano caratteristiche idonee alla monocultura intensiva ad alta meccanizzazione. E saprebbero pure che, da tempi immemorabili, il Leccino è già coltivato in Salento, costituendo a quanto risulta la terza varietà per abbondanza. Parimenti, saprebbero anche che l’autosterilità, o meglio l’autoincompatibilità gametofitica, è un carattere che accomuna molte specie arboree da frutto incluso l’olivo, un carattere adattativo che in natura favorisce la fecondazione incrociata. Cultivar autofertili e parzialmente autofertili esistono ma sono frutto di selezione e miglioramento genetico.

Per non parlare dell’allusione a falde contaminate e suoli già compromessi: certe dichiarazioni allarmistiche, fondate su cattiva interpretazione di dati parziali e sul sentito dire, sono state già smentite dalle istituzioni preposte al monitoraggio ambientale. Per non parlare ancora dei gravi danni alla salute dei cittadini, perennemente millantati, ma mai provati tramite opportune e affidabili evidenze statistiche di tipo epidemiologico.


Quale sarebbe quindi la strada giusta, la soluzione di provata efficacia per fronteggiare l’epidemia del batterio che alcuni fra questi soggetti hanno negato persino esistesse, fino a tempi non lontani? “Un approccio sistemico e multidisciplinare nel quale siano presi in considerazione i vari punti di vista superando un’impostazione che tende a restringere questi problemi a mere questioni di patologia vegetale di esclusiva competenza del Ministero delle Politiche Agricole quando, invece, qualunque misura andrebbe adottata di concerto con i Ministeri in indirizzo, preposti alla tutela e alla salvaguardia dei valori costituzionali sopra enunciati.”


Come è facile osservare, si tratta di parole vuote di contenuti, laddove si tratti di contrastare una fitopatia e di salvare quel che resta di economia e paesaggio della Puglia. Perché più che i trattamenti fitosanitari e gli alberi abbattuti, a danneggiare il turismo pugliese, come paventato dai firmatari, pare che ormai siano più che altro le distese di ulivi già morti che caratterizzano ampi territori del Salento.

Al contrario, i Lincei ricordavano che c’è bisogno di attuare quelle poche misure di contenimento previste, segnalando altresì la necessità di ulteriore ricerca (quella vera), di formazione degli operatori e, soprattutto, di far presto. Concordemente, si sono espressi gli ispettori europei che hanno appena lasciato la Puglia. Altrettanto concordemente si esprimono oggi tutte le forze politiche, le associazioni di categoria del mondo agricolo e la comunità scientifica nella sua larga maggioranza.


Non resta quindi che dare seguito alle migliori indicazioni disponibili, senza indugiare oltre, se davvero si ha a cuore la sorte dell’olivicoltura, non solo pugliese.

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