martedì 11 giugno 2019

MANGIMI E SVILUPPO PER LA ZOOTECNIA AFRICANA


di MATTEO CROVETTO


Gruppo di orticoltori, accanto alle parcelle coltivate a spinaci e altre verdure.

All’altezza della Guinea equatoriale e del Gabon l’aereo inizia la discesa verso Pointe Noire, nel Congo francese. C’è ancora luce e colpisce, come già altre volte e per altre zone di questo immenso continente, la selvaggia vastità di questi territori ancora dominati dalla natura e con scarsissima presenza umana. Vedo pochissimi villaggi e strade, per lo più solo distese verdi di foresta e aree aperte. Poi arriva il buio, quasi di colpo (siamo vicini all’equatore), e fuori dal finestrino non appaiono più luci: solo buio per chilometri e chilometri. Finalmente le luce della città e in un attimo atterriamo. 

Dagli 0°C e il nevischio di Parigi, mi investono i 32°C umidi di Pointe Noire, capitale economica del Congo, affacciata sull’oceano atlantico. E poi la solita trafila aeroportuale di queste città africane, la lentezza delle operazioni, la compagnia delle zanzare (non tutte malariche per fortuna!), l’odore inconfondibile di questo continente, la magia che pian piano ti avvolge. 
Sono qui per valutare un progetto di sviluppo in campo agricolo/zootecnico. I giorni successivi li trascorro girando per i villaggi di una zona interna della provincia, tornando in città la sera. 
In città, come in tutte quelle africane che ho visto, esistono due mondi distinti: quello ricco, con gli uffici e negozi centrali, palazzi e palazzine stile europeo, spesso abitate da bianchi, e quello povero o poverissimo, con strade in pessimo stato, traffico caotico, abitazioni fatiscenti, baracche e baracchini che si allineano infiniti lungo le strade che portano fuori città. Qui si affolla una moltitudine di persone, praticamente solo neri, che si affaccenda in traffici commerciali. 


La carenza di proteine 
Tantissimi e tutti all’aperto, ai lati della strada, i punti vendita di generi alimentari: farine e sacchi di cereali, manioca in tuberi, macinata o già cotta, avvolta in foglie di banano, verdure di tante varietà, frutta, pesce fresco e secco, carne di pollo, uova. Osservo la gente e più tardi, all’uscita di scuola guardo i bambini: non sembrano denutriti. 
Anche nei villaggi i bimbi che a frotte mi sciamano attorno per una foto, un “ciao” o un “cinque” con la mano… non sembrano patire la denutrizione. La malnutrizione però è molto diffusa, soprattutto per la carenza di proteine e di oli essenziali. La dieta infatti, soprattutto nelle zone rurali è a base di manioca. In altre aree sorgo e miglio o, dove c’è più acqua, mais o riso. A questa base amidacea vengono aggiunte verdure e talvolta legumi, raramente pesce, uova o carne. Praticamente mai latte e derivati. Vitamine e minerali sono per lo più assicurati da frutta e verdure fresche che abbondano all’equatore e ai tropici. Talvolta vengono consumati i semi della palma da olio per ricavare un intingolo/condimento per la base di manioca, alla faccia dei tanto denigrati (nel nostro Paese!) acidi grassi ω-6. 

Denutrizione e malnutrizione 
Negli ultimi trent’anni la situazione della denutrizione e malnutrizione nel mondo è sicuramente migliorata. Nei 25 anni tra il 1990 e il 2015 i bambini con meno di 5 anni sottopeso sono diminuiti passando dal 25 al 13% circa dei bambini totali in quella fascia di età. Il miglioramento maggiore si è avuto in Asia sud-orientale e nell’Africa sub-Sahariana, ma in queste due aree del pianeta la percentuale di bambini sottopeso, denutriti e malnutriti, resta troppo alta (20-30% circa) come evidenziato dalla figura che segue. 





Forte domanda di alimenti di origine animale 
L’interesse per l’allevamento animale e la possibilità di integrare così la dieta e il reddito familiare appare evidente in tutti i villaggi, come del resto avevo già verificato in Zambia, Mozambico, Kenya, Tanzania, Costa d’Avorio, Sierra Leone, Camerun. La domanda però è: come fare? La cosa è possibile, anche se certamente non facile, a partire da progetti di sviluppo finanziati da enti istituzionali o privati (UE, Ministero Affari Esteri o enti locali italiani, fondazioni, associazioni) e gestiti da organizzazioni non governative (ONG) e non lucrative di utilità sociale (ONLUS). 

L’assistenza tecnica agli allevatori
Il Congo, come altri Paesi africani, comincia ad avere giovani laureati in Agraria, specializzati nelle diverse branche dell’agricoltura e allevamento, ma mancano i fondi per garantire una presenza costante ed efficace (extension service) di tali tecnici nelle aree rurali, a supporto degli agricoltori e allevatori. I tecnici locali preferiscono decisamente lavorare in città, in uffici governativi e ministeriali, che non trasferirsi in zone rurali disagiate, con connessioni stradali molto critiche, carenza frequente di elettricità e talvolta d’acqua, pochi negozi e zero svaghi. Senza contare poi che spesso tali tecnici non ricevono dal governo o ministero i soldi per la benzina con cui, in moto, raggiungere i vari villaggi, o le sementi migliorate da distribuire agli agricoltori, ecc. In tale contesto diventano fondamentali progetti di sviluppo che aiutano l’avvio di pratiche agricole e di allevamento migliorate e più efficienti rispetto a quelle tradizionali. 


Il micro-credito 
Nessuna banca presterebbe mai anche piccole somme di denaro a gente così povera, che vive di un’agricoltura per lo più di sussistenza. Un progetto di sviluppo però può farlo e identificare così poco a poco le persone o i gruppi più motivati e affidabili. In questo senso le donne sono quasi sempre assai più responsabili e affidabili degli uomini, restituendo interamente i prestiti ricevuti e ottenendone così altri, di maggior importo. Con tale risorse finanziarie, anche piccole ai nostri occhi, i gruppi o le famiglie acquistano mezzi tecnici per avviare o migliorare attività produttive o di piccolo commercio, quasi sempre legato al settore agricolo, il solo praticabile in aree rurali distanti dalle città.
La coltivazione (di manioca in questo caso) comporta il disboscamento e la pulizia di aree di foresta, operazioni che richiederebbero mezzi meccanici adeguati, ma spesso assenti in aree interne del Paese 

La coltivazione (di manioca in questo caso) comporta il disboscamento e la pulizia di aree di foresta, operazioni che richiederebbero mezzi meccanici adeguati, ma spesso assenti in aree interne del Paese

Allevamento per sussistenza o per reddito? 


“La gente nei villaggi non muore di fame” mi spiega Bernard, amico di Brazzaville, la capitale, che 30 anni fa venne in Italia, Milano e Perugia, a perfezionare gli studi in zootecnia e veterinaria e che da anni opera come consulente del governo nell’ambito dei progetti di sviluppo. “Quello che manca loro è una zootecnia da reddito (income generative livestock production), che consenta la vendita di prodotti ai mercati dei villaggi più grandi o meglio ancora delle città, per poter così acquistare altri beni necessari per migliorare il proprio livello di vita (scarpe e divise scolastiche per i bambini, coperte e vestiti, medicine, attrezzi e mezzi agricoli, materiale per costruzione, etc.)”. Ma per generare un reddito l’allevamento non può limitarsi a un livello minimalista, con animali (pollame, suini, pecore e capre) che razzolano fra le capanne e si disperdono nelle zone incolte per cercare quel tanto di cibo che basta appena a mantenerli o poco più. 

Aumentare l’efficienza di allevamento 
Suona strano in ambienti così poveri parlare di efficienza, ma è proprio qui che un miglioramento, anche modesto, delle tecniche di allevamento e dell’efficienza produttiva fa la differenza. Passare da 2 a 4 o 6 litri di latte al giorno per una vacca, da pochi grammi di incremento ponderale giornaliero a 20-30 g/d per un pollo, da 20-30 uova all’anno a 100-150 per gallina… significa cominciare a poter vendere qualcosa. Come ottenere ciò, con il supporto almeno iniziale di forme di micro-credito? Con la genetica (incroci tra razze migliorate e razze locali, più resistenti a parassiti e condizioni ambientali difficili), le costruzioni (pollai, porcili e stalle che diano ombra e arieggiamento e difendano da predatori notturni), l’igiene e la sanità (ambienti puliti, tutto pieno/tutto vuoto, supporto del veterinario, uso di vaccini e farmaci di base) e soprattutto con l’alimentazione. “Bisogna che riescano a raggiungere i mercati della città per vendere bene i loro prodotti” ribadisce Bernard. In campagna i prezzi sono bassi e la domanda è minore, anche perché la disponibilità economica è molto piccola. Ma da soli i singoli agricoltori e allevatori non ce la fanno, devono unirsi in gruppi e cooperative per fare massa critica e poter pagare un trasporto. 


Concentrati per suini e pollame… 
I terreni coltivabili in Africa non mancano anche se l’acqua spesso è carente e ci si deve affidare alle piogge, se distanti da fiumi e corsi d’acqua. In compenso il clima consente spesso due raccolti all’anno. Qui in Congo ora è la stagione delle piogge e quasi ogni giorno un temporale inonda per breve tempo campi e villaggi. Le piante crescono ovunque e rapidamente: purtroppo anche le erbacce e malerbe! I contadini usano il machete e poi la zappa per liberare i campi dalla vegetazione selvatica e dalle erbe infestanti. La produzione (non meccanizzata) di mais nei loro campi non concimati è molto bassa: 4-5 quintali ad ettaro, a volte 8-10. Avendo le famiglie campi piccoli, di 1-2 ettari, è evidente che la produzione di mais, sorgo, manioca, è destinata a food per la famiglia stessa e non a feed per gli animali. I mangimi prodotti in città costano troppo per questi piccoli allevatori rurali e quindi gli animali allevati sono pochi e magri! 

Un progetto di sviluppo in questo campo deve partire dalla produzione di mais o sorgo (meno esigente dal punto di vista idrico, anche se di minor valore nutritivo) o della manioca, anch’essa molto ricca in amido, o quantomeno dal reperimento di sottoprodotti di molitura e dei birrifici: trebbie di birra umide possono essere una buona ed economica fonte proteica e in parte anche energetica per suini e pollame, visti i costi molto alti della farina di soia di importazione. Tra i proteici abbastanza disponibile la farina di arachidi, anche se bisogna ovviamente porre attenzione all’eventuale presenza di micotossine. La crusca di cereali diversi (riso incluso) è abbastanza disponibile e può rappresentare una risorsa preziosa per aumentare un po’ il valore proteico ed energetico delle diete. Idem per l’olio di palma. Mangimi semplici quindi, se non si riescono ad ottenere, per indisponibilità o per costo eccessivo, mangimi composti. 

… foraggi per i ruminanti

Soprattutto in questi Paesi economicamente poveri, è bene destinare gli alimenti amidacei ai monogastrici (pollame e suini) e impiegare gli alimenti fibrosi per i ruminanti. Una tonnellata di mais o di manioca si traduce in molti più kg di carne se somministrata a un pollo o a un maiale che non a un bovino. Diverso è il discorso per i ruminanti da latte, bovini soprattutto, dove una anche piccola integrazione della base foraggera (spesso scadente…) con mangimi/concentrati vari, consente un significativo aumento della produzione di latte. 
I foraggi nei climi tropicali ed equatoriali sono in genere di scarso valore nutritivo, con poche proteine e molta fibra lignificata, per l’effetto sinergico delle alte temperature e della frequente siccità. Il solo pascolamento degli animali in zone cespugliate consente a malapena di soddisfare i fabbisogni di mantenimento o poco più. Per aumentare almeno un po’ la produzione di latte e di carne è necessario coltivare dei foraggi, raccoglierli al giusto stadio vegetativo e somministrarli agli animali (freschi o conservati) la sera, al rientro dal pascolo e al mattino, prima del pascolo stesso. 


La meccanizzazione va aumentata 
La carenza e talvolta la totale assenza di macchine agricole, anche le più semplici, comporta un lavoro molto pesante nei campi (soprattutto da parte delle donne!) e rese agricole decisamente basse. L’unione di più agricoltori/allevatori in gruppi e piccole cooperative può consentire il noleggio di tali macchine per operazioni di campagna da farsi nei campi singoli e in quelli comuni. 

L’organizzazione e la logistica 
Al di là degli aspetti tecnici, pur importanti, sono soprattutto quelli logistici e organizzativi a fare la differenza. Una pianificazione delle produzioni (orticole o animali) per assicurare un rifornimento costante al mercato, l’accantonamento di parte del reddito per la manutenzione, l’acquisto di mezzi tecnici (sementi migliorate, concimi e diserbanti, animali, alimenti zootecnici, macchinari, ecc.), il trasporto, ecc., le tecniche di rotazione tra le colture per sfruttare al meglio il suolo e limitare l’uso di prodotti chimici contro parassiti, nematodi, funghi ecc…. è essenziale per la sostenibilità nel tempo delle varie attività agricole e zootecniche. 


L’importanza dell’educazione/formazione
Qualunque progetto di sviluppo, agro-zootecnico, sanitario o altro, non può prescindere da un’azione formativa/educativa, mirata soprattutto ai giovani. La conoscenza delle varie problematiche e la sensibilizzazione verso pratiche produttive economicamente, oltre che ambientalmente, sostenibili, è fondamentale. È una strada lunga che richiede tempo e pazienza, ma senza la quale ogni sforzo sarebbe vano. Solo quando saranno veramente convinti della bontà di tali azioni a loro vantaggio, i beneficiari dei vari progetti di viluppo e la popolazione locale in genere, si impegneranno veramente in tal senso. 

Un problema soprattutto culturale
Inutile nascondere che la vera sfida dello sviluppo è la sostenibilità nel tempo delle varie azioni e attività intraprese. Per vedere se un progetto è stato davvero efficace bisogna tornare sul posto qualche anno dopo la fine del progetto stesso e vedere se e cosa è rimasto di quanto intrapreso e fatto quando ancora operava la ONG del Paese economicamente sviluppato, i suoi tecnici, volontari e cooperanti espatriati e l’ente finanziatore del progetto stesso. 
Lo sviluppo è essenzialmente un problema culturale. Migliaia di anni di storia diversa, oltre che di diverse condizioni climatiche e ambientali, dividono il Nord e il Sud del mondo. Ora si chiede un avvicinamento a tappe forzate tra questi due mondi e la globalizzazione non permette tempi più lunghi in tal senso. Ma a separare i due mondi sono una mentalità e una visione della vita che hanno radici ataviche. Non cadiamo quindi nell’errore di voler accelerare per forza i tempi sentendoci onnipotenti. Natura non facit saltus (la Natura non fa salti) diceva Leibniz già a inizio del 1700. Impegniamoci quindi per un doveroso processo di sviluppo, ma senza voler forzare i tempi e rispettando la diversità del genere umano.

L' ARTICOLO E' USCITO IN ORIGINE SULLA RIVISTA: I TEMPI DELLA TERRA

G. Matteo Crovetto 
Professore di Nutrizione e Alimentazione Animale presso l’Università degli Studi di Milano e membro del Comitato di indirizzo scientifico Assalzoo.

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