domenica 14 luglio 2019

MA E' UN EUROPA CHE FUNZIONA QUESTA?


di ALBERTO GUIDORZI





Su incarico delle istituzioni europee, l’Unità di prospettiva Scientifica del Servizio di Ricerca del Parlamento Europeo è stato incaricato di rispondere alla seguente domanda: Possiamo crescere senza usare erbicidi, fungicidi e insetticidi? Ecco qui la risposta data (qui ). Per i lettori di AGRARIAN SCIENCES  una breve sintesi. 
Nutrire con cibo sano 11 miliardi di persone nel 2100 è la sfida del secolo. È un diritto sacrosanto di chi verrà dopo di noi e lo dovranno fare preservando il pianeta; quindi niente aumento della superficie coltivata per non perdere ulteriore biodiversità e limitazione al massimo nell’emissione di GES. In un tale contesto ci si chiede se sia possibile mantenere le rese attuali nel Nord-Ovest dell’Europa e di aumentare le rese nelle altre regioni del pianeta senza più usare i Prodotti di Protezione (PdP) delle piante, o in subordine ridurre drasticamente l’’uso dei fitofarmaci. Infatti, è ciò che ci chiede l’opinione pubblica.

Oggi abbiamo a disposizione dei PdP di sintesi e anche naturali usati in agricoltura biologica. Dal 1980 ne abbiamo raddoppiato l’uso, mentre lo sviluppo dei PdP di sintesi è diminuito in quanto la legislazione è divenuta talmente restrittiva che poche molecole superano i protocolli. Giusto precisare che i PdP hanno permesso di moltiplicare per 2,5 le rese dei paesi sviluppati. Nell’UE in particolare si nota una puntuale correlazione positiva tra uso di PdP e rese ettariali. Altro aspetto che ha caratterizzato l’evoluzione dei PdP è il passaggio da prodotti a largo spettro a prodotti più specifici, ciò al fine di colpire solo i parassiti bersaglio, ma ciò ha comportato una intensificazione dei trattamenti. La conseguenza di questa evoluzione è che i quantitativi usati sono aumentati, ma contrariamente a prima i trend di aumento delle produzioni si sono appiattiti rispetto al passato. PdP più specifici hanno comportato controlli delle omologazioni molto più restrittivi come ad esempio la non tossicità per l’uomo ed altri organismi utili e ciò si è risolto nell’uso (se fatto secondo le norme) molto più sicuro che nel passato, in più si controlla molto più severamente l’esistenza dei residui (tenuto conto anche di analisi quantitative più approfondite). L’applicazione del fattore di sicurezza 100 volte inferiore rispetto alla dose senza effetto fa sì che l’esposizione sia molto minore rispetto al rischio quotidiano a cui l’uomo è esposto da altri prodotti non fitofarmaceutici. Tutto ciò ha fatto sì che i costi per l’omologazione di un PdP siano passati da 41 milioni di $ del 1995 ai 71 di oggi.
Certo la protezione delle produzioni passa anche attraverso altre pratiche agronomiche come le rotazioni, l’uso di cultivar resistenti (anche se la loro presenza lascia scoperte numerose piante coltivate), la gestione del terreno ecc. Si calcola che senza l’uso dei PdP le rese possono variare tra un -19% nel grano e un -42% nella patata, inoltre questi scarti sono sempre più elevati quando la produzione ettariale è elevata e di conseguenza si spreca in parte l’effetto dei concimi e dell’acqua comunque somministrati. Resta da analizzare se è possibile diminuire l’applicazione dei PdP, qui tutte le prove fatte ci dicono che solo laddove si ha un uso di quantità importanti si possono fare delle economie, ma non quando l’uso è già stato ottimizzato.

Dunque senza PdP la sicurezza alimentare degli 11 miliardi di persone è messa in forse.

È fuori luogo pensare che i PdP non abbiano nessun impatto sull’ambiente, tuttavia le ricerche ci dicono che il calo di biodiversità si ottiene di più modificando l’uso del suolo, e guarda caso è la motivazione portata per un’adozione massiccia dell’agricoltura biologica, quando questa è quella che modifica più il suolo. Le stesse ricerche ci dicono anche che non è la migliore scelta; tutte le meta-analisi scientifiche indicano che l’aumento della biodiversità sarebbe marginale rispetto a quanto si perderebbe in produzione, anzi se si volessero raggiungere ambedue gli scopi si verificherebbe un’importante perdita di biodiversità in quanto, per recuperare il -25% di produzione che avremmo, dovremmo distruggere biodiversità per il cambio d’uso di suoli attualmente non coltivati. Inoltre non è dimostrato che i PdP usati in biologico lascino residui meno tossici e quindi abbiamo bisogno di ulteriori studi per fare le necessarie verifiche.
Certo davanti abbiamo ancora la possibilità di migliorare applicando sistemi di allerta e di aiuto alla decisione dell’utilità o meno di eseguire un trattamento di protezione, progredendo nell’applicazione dell’agricoltura di precisione e perseguendo la selezione di varietà resistenti ai parassiti sia con metodi classici più affinati, ma soprattutto mediante le biotecnologie. Anzi l’applicazione di queste tecniche sarà indispensabile se vogliamo perseguire il duplice obiettivo dello sviluppo durevole e della sicurezza alimentare sana.

Sintesi della sintesi.

  • - Per nutrire 11 miliardi di persone l’auspicata decrescita va nella direzione opposta.
  • - Se vogliamo perseguire la crescita non possiamo usare altre terre potenzialmente coltivabili e nel contempo privarci della protezione delle coltivazioni.
  • la produzione agricola nell’UE senza PdP non è realista pur auspicando l’uso di tecniche migliori.
  • La ricerca è stata obbligata a produrre PdP più specifici senza tenere conto che in certe coltivazioni occorre poi trattare di più.
  • Qualsiasi sia il PdP usato (bio o di sintesi) esso impatta l’ambiente, seppure sempre in modo minore rispetto all’aumento delle superfici coltivate.
  • Le rese inferiori dell’agricoltura biologica è in parte dovuta ad una protezione ed una alimentazione meno efficace. Ciò poi si riflette sui prezzi del cibo, che, divenendo più cari, escluderebbero dal suo accesso le classi più povere. Questi sarebbero quindi costretti a nutrirsi di cibi meno cari e meno salutari. L’effetto sulla salute diverrebbe così molto più grave rispetto ai residui dei pesticidi.
  • Niente ci indica che i PdP naturali siano migliori per biodiversità e ambiente
  • Lo sviluppo dell’agricoltura integrata con riduzione dei Pdp tramite nuove tecnologie, agricoltura di precisione, ricerca e sviluppo di varietà resistenti con tecniche di più pronto uso, è l’unico modo che medierà le esigenze che ci si prospettano.
  • I PdP sono sostanze altamente studiate, tra l’altro molto di più di altre sostanze di uso quotidiano. La riomologazione dei PdP allo scadere di ogni decennio permette nel frattempo di valutare per l’ulteriore decisione le risultanze scientifiche scaturite dal loro uso.
  • 10° la percezione del rischio dei PdP da parte dell’opinione pubblica è molto maggiore di quella che invece hanno i ricercatori. Purtroppo è invalsa la credenza che questi ultimi abbiano tutti dei conflitti di interesse.



Per terminare si riportano solo due figure che il corposo lavoro mostra:



La tabella 1 evidenzia l’aumento delle rese del frumento in Francia, Germania Inghilterra dal 1960, ma anche la variabilità in funzione essenzialmente delle condizioni dette “climatiche”, come anche la stagnazione delle produzioni a partire dal 1995


La figura 11 invece mostra le perdite reali (in blu) e potenziali (in rosso) per il frumento, il riso, la soia e la patata a livello mondiale a causa degli attacchi dei parassiti animali, fungini, virosi e infestanti



COSA POSSIAMO CONCLUDERE: 
Questo documento è una buona sintesi della problematica sui pesticidi. Tuttavia dubitiamo che sia fatto proprio da chi l’ha commissionato e che soprattutto lo usi per modificare le convinzioni incomplete e distorte radicate nell'opinione pubblica. È molto più comodo cavalcare l’onda della paura che non fare opera di convincimento in chi ormai è convinto del contrario. Il confronto della tabella e della figura permette di visualizzare il balzo indietro che si farebbe se ci privassimo dei PdP o di PdP più efficaci. Solo che un pericolo del genere si vedeva essere evidente facendo il confronto tra produzioni convenzionali e produzioni biologiche (handicappate da fertilizzazione e protezione insufficiente), eppure sono solo queste in auge presso i sedicenti politici di oggi.



Alberto Guidorzi
Agronomo. Diplomato all'Istituto Tecnico Agrario di Remedello (BS) e laureato in Scienze Agrarie presso l'UCSC Piacenza. Ha lavorato per tre anni per la nota azienda sementiera francese Florimond Desprez come aiuto miglioratore genetico di specie agrarie interessanti l'Italia. Successivamente ne è diventato il rappresentante esclusivo per Italia; incarico che ha svolto per 40 anni accumulando così conoscenze sia dell'agricoltura francese che italiana.
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