lunedì 9 dicembre 2019

AMAZZONIA: POLMONE DELLA TERRA! MA E' PROPRIO VERO?

di ALBERTO GUIDORZI


Fonte   NASA / Earth Observatory

Premessa
Gli incendi di quest’estate nella foresta amazzonica hanno suscitato vivissime e giuste reazioni in quanto la reiterazione del fenomeno provocherebbe una catastrofe planetaria. Tuttavia dobbiamo annotare che l’unico colpevole indicato dai media è stato il Brasile, ma guardando le rilevazioni satellitari si vede che nello stesso momento gli incendi erano localizzati in tutte le nazioni che avevano accesso alla foresta amazzonica e che nella regione equatoriale dell’Africa l’importanza degli incendi non era da meno, anzi. In giugno luglio 2019, poi, vi sono stati devastanti incendi in Siberia. In aggiunta, la mappa raffigurata sotto comprova una ricerca FAO secondo la quale: "Nessun paese dove il PIB annuale per abitante oltrepassa i 4600 $ ha un tasso negativo di deforestazione, detto altrimenti, le società dei paesi dove le disponibilità per abitante eccedono i 6200 $ attualizzati o non deforestano o addirittura si hanno programmi di riforestazione”.

Questi incendi, sempre aventi per colpevole il solo Brasile ed il suo governo, hanno fatto affermare il 22 agosto al presidente francese Macron che “L’Amazzonia, il polmone del nostro pianeta che produce il 20% del nostro ossigeno, va a fuoco". Per giunta egli è stato subito seguito il 25 dello stesso mese da Papa Francesco che ebbe a sentenziare: «Noi siamo preoccupati per i vasti incendi che si sono sviluppati in Amazzonia. Questo polmone di foresta è vitale per il nostro pianeta». Purtroppo però sia il Papa (ma più di tutti i suoi consiglieri) che Macron hanno dato più credito a internet che alla scienza, non è assolutamente vero, infatti, che l’Amazzonia sia un polmone del pianeta ed è pure destituito di ogni fondamento che essa ci fornisca il 20% di ossigeno. Tuttavia, con questo non si vuole minimamente sminuire o occultare la gravità della situazione della deforestazione, sottoposta inizialmente a distruzione per rifornirsi di legname pregiato e poi alla bruciatura per liberare le terre dalla restante vegetazione al fine di metterle in coltura per far fronte alla pressione demografica ed anche produrre biocarburanti e soia per alimentare mezzi di trasporto più ecologici e bestiame da carne. Visto l’impatto che hanno certe dichiarazioni sull’opinione pubblica, immancabilmente dilatate dai media, non ci possiamo però esimere dal chiederci come mai due personalità di così alto rango e non privi di consiglieri qualificati abbiano commesso tali errori di giudizio.


Perché è sbagliato dire che l’Amazzonia è il polmone della terra?
L’organo polmonare, negli esseri viventi che lo hanno, assorbe O2 ed emette CO2 e quindi è sbagliato concettualmente assegnare ad una foresta una “funzione polmonare”. Per le foreste e per tutti i vegetali occorre fare un bilancio delle due funzioni vitali che le caratterizzano e tra l’altro aventi effetti opposti da un punto di vista degli scambi gassosi, cioè la fotosintesi e la respirazione. La fotosintesi (che avviene solo di giorno) assorbe 6 molecole di CO2 ed emette altrettante molecole di O2 per sintetizzare una molecola di zucchero, mentre la respirazione assorbe O2 ed emette CO2 per tutte le 24 ore. Ora se sintetizziamo la reazione chimica della fotosintesi in questa formuletta (valida solo da un punto di vista di bilancio di massa e non reazionale) CO2 --- C + O2 e siccome la massa molare del C è 12 g e quella dell’ossigeno è 16, ogni volta che un organismo fotosintetizzante assorbe 44 g di CO2 fissa in una molecola organica 12 g di C e 32 g di O2. Detto ciò possiamo dunque calcolare la massa di carbonio incorporato per unità di tempo e di superficie da un ecosistema, come pure possiamo calcolare lo stock di carbonio cioè la massa totale di carbonio organico contenuto nella biomassa degli ecosistemi per unità di superficie. Ecco qualche cifra:



(1) Questo valore è mediato su tutto l’anno, esso dipende dal tipo di coltivazione e lo stock di carbonio è ben meno nelle terre lavorate in profondità e abbondantemente arricchite in concimi azotati. I nitrati sono degli ossidanti che favoriscono la distruzione della sostanza organica. 
Alla luce di queste cifre, nella foresta amazzoniana si produce dell’ O2 in quantità circa pari alle 2600 t/kmq/anno , solo che purtroppo non avviene solo la fotosintesi nelle foreste e negli altri ecosistemi se queste/i sono in equilibrio. 1- gli alberi respirano, 2- foglie, frutti e legno sono consumati e respirati dai fitofagi, dai frugivori e dagli xilofagi, 3- foglie e branche morte cadono al suolo e sono parzialmente consumate da funghi, termiti ed altri vermi, 4- infine alla loro morte gli alberi cadono al suolo e sono consumati come quelli di cui al punto tre; 5- ciò che durante l’anno non è consumato sono incorporati nella lettiera che si forma sul suolo e sono distrutti nel tempo. Tutte le trasformazioni prima descritte captano O2 ed emettono CO2. In conclusione in una foresta vergine da interventi umani e non attraversata da corsi d’acqua, cioè come si dice in gergo “in equilibrio”, la respirazione e la fotosintesi sono in equilibrio ed il bilancio è teoricamente nullo; praticamente nessun consumo o produzione di O2 o di CO2.
Ecco i numeri: - Superficie amazzonica ≈ 5.106 km2 ; - Stock globale di carbonio fissato in Amazzonia ≈125.109 t ; - Carbonio fissato annualmente dalla fotosintesi ≈ 5.109 t; - Carbonio ossidato annualmente dalla respirazione≈ 5.109 t.

Le foreste non sono un polmone ma solo una forma di stoccaggio di carbonio!
Non enfatizziamo, però, il fatto che la produzione vegetale delle piante coltivate sia da 2 a 6 volte maggiore di una pari superficie di foresta perché anche qui il bilancio nei tempi (tra l’altro non geologici) è nullo. Vero è, però, che lo stoccaggio totale di carbonio di un ettaro di foresta e ben superiore a quello del terreno coltivato ed inoltre qui è destinato a ridursi con le lavorazioni che vanno ad ossigenare il terreno. Non è però pleonastico far notare a questo punto che si è obbligati a coltivare per avere cibo, si tratta, però, di applicare pratiche che la scienza ci dice meno impattanti sulle ossidazioni e comunque capaci di aumentare la produzione agricola per unità di superficie, viste le previsioni demografiche. Ecco la ragione per la quale una foresta può essere solo definita un pozzo di stoccaggio di carbonio e non un polmone e perché la foresta non va distrutta e coltivata, se lo facessimo liberiamo la CO2 qui stoccata.

Da dove proviene l’O2 dell’atmosfera?
Un altro aspetto, che purtroppo spesso non è ben conosciuto da chi fa divulgazione scientifica, è che l’O2 presente in atmosfera è dovuto in minimissima parte alla fotosintesi delle piante e del fitoplancton esistente, ecco quindi che è falso dire che se in un attimo scomparissero tutti gli esseri viventi fotosintetizzanti noi moriremmo subito asfissiati, in realtà si avrebbe, invece, ossigeno sufficiente alla vita animale ancora per migliaia d’anni. Dato per scontato ciò, allora dobbiamo ammettere che la percentuale di ossigeno atmosferico che ci ritroviamo oggi (21%) è tale perché altri fenomeni si sono sovrapposti. Quali fenomeni? Innanzitutto occorre partire da 2.5 Ga (miliardi d’anni) quando si è verificata la “grande ossidazione”, cioè quando, per fenomeni ancora mal spiegati, il contenuto di ossigeno in mare e nell’atmosfera è aumentato di 100.000 volte, diminuendo poi a causa dell’ossidazione dello ione Fe++ che è precipitato come Fe2O3.
In questo modo il tasso d’ossigeno man mano si è ridotto fino alla percentuale attuale. Successivamente è subentrato un altro fenomeno e per comprenderlo occorre fare un semplice ragionamento: se O2 e CO2 si equivalgono, tendono all’equilibrio, occorre che questo equilibrio si sia rotto nel senso che la sostanza organica che si è prodotta nelle centinaia di migliaia d’anni trascorsi con in azione la fotosintesi, si è solo in parte ossidata (consumando ossigeno). È ciò che capita e che è capitato nei tempi geologici, nel senso che una buona parte della massa vegetale terrestre prodotta è stata stoccata tal quale, ossia si è fossilizzata formando giacimenti di carbone e altrettante buona parte della massa vegetale marina si e fossilizzata divenendo petrolio o è stata inglobata nelle rocce sedimentarie.

Piantare alberi è risolutivo per far diminuire o limitare l’aumento della CO2 atmosferica e quindi contrastare il riscaldamento climatico?
Da quanto già abbiamo detto si evince che non lo è: un albero sotto i nostri climi fin che cresce assorbe più CO2 di quanta ne emette con la respirazione, solo che ciò dura diciamo in media e a secondo della specie 20/30 anni, tuttavia nel frattempo la vegetazione annuale in questo lasso di tempo ha restituito tutta la CO2 assorbita e alla morte dell’albero questo farà la stessa fine. Se si vuole continuare il ciclo e rimettere le cose in pareggio occorre piantare un altro albero e poi un altro ancora. Alla luce di ciò si potrebbe pensare che piantandone tanti l’equilibrio si sposti a più alti livelli. Vero, solo se, però, ci riferiamo a terre desertiche rimboschite e finché queste foreste non divengono mature, ma nelle zone coltivate sottrarrei superficie destinata a produrre cibo, il che destabilizzerebbe un altro equilibrio (quello alimentare) già precario. Ecco che allora gli alberi si possono piantare solo se non sottraggo superficie agricola o se riesco ad aumentare la produttività unitaria al punto da non aver più bisogno di una parte di superficie che prima coltivavo; solo così la posso destinare a bosco.
Altro aspetto da non dimenticare è che se pianto alberi ed aumento i consumi (oggi invece il mantra è che per far ripartire l’economia occorre far ripartire i consumi…) si potrebbe arrivare ad invertire lo scopo dell’obiettivo iniziale. Insomma piantare un albero è come quando prendo un analgesico per calmare il mal di denti dovuto ad un ascesso, finché dura il mal di denti devo prendere analgesici ad intervalli di tempo; se voglio essere risolutivo, però, devo prendere un antibiotico che mi faccia sparire l’infiammazione. Ma allora non si devono piantare alberi? No! Perché questi hanno anche altre funzioni come aumentare la biodiversità e farci godere dell’ambiente sottostante.

Conclusione: da quanto si è qui sintetizzato risulta chiara la complessità di ciò che è avvenuto, avviene, e avverrà sulla ed intorno alla terra e quindi è troppo semplicistico costruire modelli matematici e far dire loro che sicuramente fra 100 anni capiterà questo o quest’altro, o meglio è facile farlo credere a chi ha una cultura scientifica che fa acqua da tutte le parti. Ho letto su un documento che un biologo/ecologo non può essere “completo” se non è anche un geologo, ebbene credo che tutti biologi, ecologi, geologi ecc. ecc. non possono più chiudersi in compartimenti scientifici stagni se vogliono discutere di clima.



Alberto Guidorzi
Agronomo. Diplomato all'Istituto Tecnico Agrario di Remedello (BS) e laureato in Scienze Agrarie presso l'UCSC Piacenza. Ha lavorato per tre anni per la nota azienda sementiera francese Florimond Desprez come aiuto miglioratore genetico di specie agrarie interessanti l'Italia. Successivamente ne è diventato il rappresentante esclusivo per Italia; incarico che ha svolto per 40 anni accumulando così conoscenze sia dell'agricoltura francese che italiana.

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