giovedì 9 gennaio 2020

LAND GRABBING:UN PROBLEMA DI DEMOCRAZIA


di ALFONSO PASCALE

Foto Agrarian Sciences - Tanzania

La valenza profetica di un romanzo 
Dagli inizi del Duemila società finanziarie, banche, governi e fondi sovrani di tutto il mondo acquistano o prendono in affitto a lunghissimo termine (anche oltre 90 anni) terreni su larga scala destinati alla produzione di alimenti e biocarburanti, soprattutto nei Paesi in via di sviluppo. Dal 2007 e per alcuni anni si è verificata un’accelerazione di tale fenomeno a causa soprattutto dell’aumento dei prezzi delle derrate agricole e dei timori di una nuova scarsità alimentare¹.
L’intrecciarsi di siffatti giganteschi problemi che caratterizzano il XXI secolo era già stato ampiamente previsto a metà anni Novanta da un acuto osservatore di cose agricole, Antonio Saltini, che ne parla in un suo romanzo fantapolitico². In realtà, quando l’opera fu pubblicata la prima volta, il pubblico non ne colse il senso. Riteneva le previsioni in esso contenute del tutto improbabili: veniva, infatti, smentita la tesi dominante secondo la quale il problema alimentare sarebbe solo un problema redistributivo e il pianeta avrebbe risorse naturali sufficienti anche per fronteggiare le necessità di una popolazione raddoppiata. A seguito della crisi alimentare e di quella economica, nonché dell’acuirsi delle crisi preesistenti – demografica, energetica e climatica - il romanzo ha acquistato tutta la sua valenza profetica. 
Nell’ultimo decennio il fenomeno dell’acquisizione di terreni da parte di investitori per garantirsi la produzione di colture ad uso alimentare ed energetico ha suscitato un’attenzione sempre maggiore presso la comunità internazionale³. Tale fenomeno è stato denominato land grabbing, termine quest’ultimo che deriva dal tedesco e olandese grabben e dal sanscrito grbhnāti che significa “atto di afferrare, atto di cogliere”. “La parola grabbing – ha scritto don Bruno Bignami, Direttore ufficio nazionale per i problemi sociali e il lavoro della Cei – appare persino onomatopeica”. E forse per conservare anche nella traduzione italiana questa impressione si è reso land grabbing con le parole “accaparramento di terre”. Ma il fenomeno ha una sua particolare delicatezza perché coinvolge una serie di altre questioni ad esso collegate che non sono state ancora sufficientemente studiate: il diritto alla terra e le sue diverse interpretazioni e formulazioni di modelli attuativi da parte degli Stati, il contenuto del diritto all'autodeterminazione dei popoli e della sovranità nazionale in un mondo sempre più interdipendente e svariati problemi di carattere ambientale che sono diventati multidimensionali. E sarebbe un errore racchiudere il fenomeno in un singolo aspetto. Come sostengono alcuni studiosi della materia, il land grabbing è parte di un problema più ampio, il control grabbing, ovvero l’acquisizione del potere di controllare la terra e le risorse ad essa associate con l'obiettivo di trarre beneficio da tale controllo. In questa accezione, il control grabbing ha a che fare con le relazioni di potere in generale e con quelle politiche in particolare. Esso può manifestarsi in diverse forme: water grabbing, green grabbing e, appunto, land grabbing. Quest'ultimo va, dunque, considerato solo come una delle forme che il control grabbing può assumere. Siamo, dunque, in presenza di un complesso problema che attiene alle forme della democrazia in un contesto completamente modificato dalla globalizzazione e dall’introduzione continua e accelerata di nuove tecnologie. Il fenomeno si può comprendere solo approfondendo gli studi in una visione ampia e si può affrontare, in modo adeguato, solo formulando proposte che includano modifiche profonde degli assetti istituzionali, ai diversi livelli (da quello locale a quello sovranazionale); modifiche capaci di cogliere l’insieme delle problematicità e delle opportunità dell’interdipendenza. 

Le origini del fenomeno 

Le prime forme di coinvolgimento di imprese multinazionali nel sistema agricolo di paesi in via di sviluppo hanno assunto da sempre le sembianze del controllo diretto di vaste aree, dell'integrazione verticale e della produzione finalizzata all'esportazione. Storicamente, ciò è avvenuto quasi in sincronia con lo sviluppo delle imprese multinazionali stesse. Le molle decisive che le hanno tradizionalmente spinto ad adottare tale tipo di politica aziendale sono state la prospettiva dell'abbattimento dei costi e la possibilità di controllare l'offerta e la qualità dei prodotti intermedi. Dopo la seconda guerra mondiale, tuttavia, il fenomeno attraversò una fase di decrescita. Tali imprese si videro costrette, a causa delle pressioni provenienti sia dalle comunità che dai governi, a considerare quella del controllo diretto di territori in Paesi in via di sviluppo come una strategia non più vincente. Per questo motivo, le imprese si concentrarono su nuove forme di pianificazione delle proprie attività, incentivando lo sviluppo dei produttori locali
Nel corso degli anni, dunque, si è assistito a un cambiamento di policy da parte delle imprese: queste sono passate dal controllo diretto teso ad ottenere un vero e proprio possesso al controllo indiretto. In altre parole, i produttori locali vengono controllati in maniera indiretta, senza che tuttavia le imprese rinuncino ad incidere in maniera comunque decisiva sulle fasi iniziali del processo produttivo. 
Tali sottolineature servono a far emergere il land grabbing come un fenomeno non completamente nuovo: esso, infatti, affonda le radici nel periodo dei grandi imperi coloniali, allorquando la madrepatria imponeva alle colonie, a seconda delle proprie esigenze, la coltura di determinati prodotti. La vera svolta nelle logiche di questo fenomeno è stata, tuttavia, possibile grazie soprattutto alle innovazioni ed ai cambiamenti portati dalla globalizzazione, che hanno reso possibili massicci spostamenti di capitali, beni ed idee da un Paese all’altro in maniera pressoché simultanea. 
Nel nuovo contesto globale e tecnologico, Paesi che possono contare su una discreta ricchezza ma che, tuttavia, soffrono una scarsità di terre coltivabili e acqua (come l'Arabia Saudita) o che hanno una densità di popolazione molto alta (come il Giappone), o ancora che stanno assistendo ad un vertiginoso aumento della domanda interna di vari beni (come la Cina), hanno cominciato ad investire nell'acquisto o nell'affitto a lunghissimo termine di terreni all'estero. In Madagascar, ad esempio, una grande percentuale dei terreni agricoli del Paese è stata comprata dalla Corea del Sud. Quasi del tutto carente di terreni coltivabili e con una densità abitativa tra le più alte al mondo, il Paese asiatico cerca in questo modo di ridurre la sua importazione di prodotti agricoli dall'estero destinando questi terreni alla coltivazione di mais e palme da olio. 
L'aspetto più problematico riguardante tale fenomeno è la modalità con la quale i terreni vengono comprati o affittati. Molto spesso, soprattutto nei contesti più poveri, gli abitanti non possiedono dei veri e propri atti di proprietà che possano testimoniare il reale possesso delle terre. Il loro diritto è spesso più fondato sulla consuetudine, che su documenti scritti. Non solo mancano registri ufficiali, ma lo stesso possesso fondiario si basa molte volte sulla disponibilità di acqua per irrigare i terreni assegnati per le colture necessarie all’autoconsumo. Questa condizione di forte incertezza spiega la facilità con cui molti governi, antidemocratici e corrotti, dei Paesi più poveri riescono a sottrarre, nazionalizzare e vendere le terre dei villaggi già utilizzate dalle comunità rurali locali. Sono dunque gli stessi governanti degli Stati target che autorizzano espropri, spesso effettuati illegalmente, e cedono risorse vitali agli investitori stranieri. L'acquirente trova, così, nel land grabbing un sistema remunerativo per accedere a nuove risorse naturali e garantirsi così altro cibo ed energia. I governi locali, dal canto loro, sono disposti a svendere la propria terra a prezzi talvolta irrisori: meno di un dollaro a ettaro. Dunque, talmente irrilevanti che per un attore straniero è praticamente sempre conveniente investire su progetti del genere, anche qualora il territorio presenti assoluta mancanza di infrastrutture o sia politicamente instabile. Una volta venduto, il terreno non è più oggetto di controllo alcuno da parte del venditore e delle comunità locali. E, per questo motivo, può più facilmente essere aggredito da fenomeni di inquinamento e inaridimento. 
Queste situazioni hanno fatto pensare ad una sorta di ritorno, in forme nuove, a regimi fondiari o geopolitici del passato senza, tuttavia, averne studiato in profondità le somiglianze e le analogie. E tali semplificazioni nella comunicazione spesso danno origine ad errori di valutazione dei fatti concreti e tendono a ideologizzare il confronto, impedendo l’individuazione di soluzioni ai problemi che si presentano. 

Le definizioni del fenomeno 

Non esiste una definizione unitaria, riconosciuta a livello internazionale, del concetto di land grabbing. “Generalmente con questa espressione – secondo il Comitato Economico Sociale Europeo (CESE) - si intende il processo di acquisizione su vasta scala di superfici agrarie utili senza prima aver consultato la popolazione locale o avere ottenuto il suo consenso”. Più puntualmente si esprime la Dichiarazione di Tirana elaborata dall’International Land Coalition¹º: “Definiamo [land grabbing] le acquisizioni o le concessioni che presentano uno o più dei seguenti elementi: 

(i) in violazione dei diritti umani, in particolare la parità di diritti delle donne; (ii) non basate sul consenso gratuito, preventivo e informato degli utenti del territorio; (iii) non basate su una valutazione approfondita degli impatti sociali, economici e ambientali; (iv) non basate su contratti trasparenti che specifichino impegni chiari e vincolanti in merito alle attività, all’occupazione e alla condivisione dei benefici; (v) non basate su un’efficace pianificazione democratica, su una supervisione indipendente e su forme significative di partecipazione”¹¹. Da queste definizioni si evince, dunque, che non sono le acquisizioni o le concessioni in sé o le loro dimensioni a qualificare il fenomeno, ma le caratteristiche del potere di controllo esercitato dalle popolazioni locali sulle operazioni fondiarie e sulle loro ricadute sociali, economiche e ambientali. C’è, dunque, ancora da studiare più intensamente il fenomeno per poter giungere a definizioni condivise. 
Inoltre, va osservato che spesso si associa il land grabbing a termini come “neocolonialismo”,“rifeudalizzazione”, “saccheggio fondiario”, “neoimperialismo”. L’uso di questi concetti ha sicuramente un forte impatto emotivo nella comunicazione. Ma, al di là del sensazionalismo che inevitabilmente producono, sono associazioni concettuali del tutto prive di un’elaborazione approfondita, in particolare sul piano storico, e soprattutto non sono agganciate a indagini appropriate e accurate del fenomeno. 


Le cause recenti 
Molteplici sono i fattori che hanno favorito il land grabbing. Come abbiamo già visto, il principale motore è la sicurezza alimentare. Lungo tutto il Novecento, i prezzi dei prodotti alimentari hanno seguito una traiettoria decrescente, come riflesso dell'espansione progressiva del commercio mondiale e dell'introduzione di innovazioni tecnologiche. I prezzi, tuttavia, hanno conosciuto un'impennata nel 2007 e la crisi finanziaria ed economica che si è avviata l’anno successivo ha minato la convinzione che il mondo intero potesse continuare a vivere un'epoca di prodotti alimentari a basso costo. Questo dal lato dell'offerta di beni alimentari. Sul versante della domanda vanno considerati l’incremento della popolazione, il crescente tasso di urbanizzazione (con il conseguente aumento della percentuale di popolazione bisognosa di beni alimentari da acquistare) e i cambiamenti occorsi nella dieta (in particolare, l'aumento del consumo di carne da parte dei ceti intermedi non solo nei Paesi industrializzati, ma anche nei Paesi emergenti). 

La sicurezza degli approvvigionamenti alimentari, tuttavia, non è il solo motore a spingere attori stranieri ad investire nelle terre di Paesi in via di sviluppo. Anche la domanda di biocarburanti gioca un ruolo primario nello sviluppo del fenomeno. Il settore ha raggiunto una certa importanza solo di recente, con la presa di coscienza della necessità di fonti di energia alternative a quelle tradizionali. 
Inoltre, è indubbio che abbia giocato a favore di una crescita del fenomeno la possibilità di speculare sui prodotti alimentari nel mercato internazionale e sull’aumento di valore dei terreni agricoli. Infine, va considerata la tendenza ad investire i capitali non più esclusivamente in attività finanziarie ma anche in terreni agricoli, il cui investimento – a seguito della crisi finanziaria del 2008 - è considerato più sicuro¹²





Le dimensioni del fenomeno 

Gli ultimi dati registrati sul data base Land Matrix¹³ mostrano che la cumulazione dei contratti di acquisto o locazioni di terra in corso di registrazione, conclusi e falliti, ha raggiunto il numero di 1.800 circa per una dimensione totale di 71 milioni di ettari. Quelli previsti sono 174 per circa 19 milioni di ettari. Mentre i contratti conclusi sono 1.580 per oltre 42 milioni di ettari. Sono svanite 130 transazioni per 10 milioni e mezzo di ettari. 






I principali investitori (tabella 1) sono dei Paesi industrializzati (Stati Uniti, Canada, Regno Unito, Spagna, Svizzera) e sempre più di Paesi emergenti (Cina, Malesia, Brasile, Corea del Sud e India). Mentre i principali Paesi target sono non soltanto quelli poveri africani ma anche di diversi continenti, tra cui anche l’Europa con l’Ucraina. 
Alcuni studiosi hanno tentato di effettuare indagini sulle società investitrici per districare il groviglio di interessi che muovono i capitali nelle varie direzioni del pianeta. Per farlo hanno definito una terza categoria di attori/azionisti del land grabbing, oltre quella dei Paesi d’origine e dei Paesi target: la categoria dei Paesi ombra, che offrono la base logistica (“paradisi fiscali”) alle società acquirenti e mascherano di fatto la reale provenienza dei capitali investiti. La rete degli investimenti finanziari risulta sempre e volutamente intricata e confusa, in modo da rendere più complessa la ricostruzione del percorso dei capitali. E questa situazione rende ardua anche una chiara rappresentazione geopolitica del fenomeno¹⁴
Un recente studio¹⁵ mette in evidenza come, negli ultimi anni, il fenomeno del land grabbing si sia ridimensionato. La motivazione principale del rallentamento è da rintracciare nella riduzione dei prezzi delle materie prime e, dunque, nella minore pressione della domanda a seguito degli effetti della prolungata crisi economica internazionale. A questo fattore si deve aggiungere un relativo cambiamento della posizione dei governi dei Paesi in via di sviluppo che stanno seguendo politiche più attente agli impatti sociali e ambientali. Nello stesso tempo, gli autori della ricerca sottolineano come i fattori strutturali e di lungo periodo continuino ad essere determinanti. Il processo, dunque, è rallentato ma prosegue ed è possibile che possa riaccelerare in un prossimo futuro. 
Intanto, i contratti conclusi stanno producendo effetti sulle comunità locali. Purtroppo, diversi casi mostrano che il comportamento delle imprese e degli Stati non sia rispettoso dei diritti consuetudinari delle comunità locali sulle terre, costringendole a ribellioni e a migrazioni di massa. Molti difensori dei diritti delle popolazioni locali sono minacciati o uccisi: ben 321 persone sono state ammazzate nel 2018¹⁶. È dunque essenziale la mobilitazione delle organizzazioni della società civile e delle istituzioni per la difesa dei popoli indigeni e di tutte quelle comunità discriminate nel loro diritto alla terra. Ma l’attività di sensibilizzazione deve tendere a sollecitare le istituzioni di ricerca economica, socio-psico-antropologica e storico-geopolitica ad approfondire gli studi del fenomeno e, nello stesso tempo, a richiedere agli Stati e agli organismi internazionali di regolamentarlo per combattere i suoi aspetti inaccettabili e valorizzarne, invece, i risvolti che possono costituire un’opportunità per i Paesi coinvolti. 

Le iniziative per regolamentare il land gabbing
Diverse sono state finora le iniziative per modificare la concezione dei diritti umani da problema meramente statale a questione globale e per connettere siffatti aspetti coi processi di acquisizione della terra. La personalità più attiva su questi temi è stato Olivier De Schutter, relatore speciale dell'ONU sui diritti connessi alla sfera alimentare dal 2008 al 2014. Nella sua attività istituzionale, il professor De Schutter si è concentrato molto nel collegare l'acquisto di terre ai diritti umani, in particolare al diritto all'alimentazione. Il documento più importante, redatto nel 2009 sotto la sua egida, contiene una serie di principi guida riguardanti l'acquisto e l'affitto di porzioni di terra¹⁷. Nell'introduzione, vi si afferma che, in base all'Art. 11 del Patto sui Diritti Economici, Sociali e Culturali, tutti gli Stati sono obbligati ad assicurare a tutti gli individui sotto la propria giurisdizione l'accesso ad una quantità di cibo minima essenziale per la loro sopravvivenza. Gli obblighi, come spesso specificato anche in altri documenti internazionali, hanno una triplice natura: quella di rispettare, proteggere e realizzare i diritti della persona connessi alla sfera alimentare. Un'ampia parte del documento è dedicata anche all'enunciazione di diritti dei popoli indigeni, i quali sono di vitale importanza quando si parla di land grabbing. Tuttavia, la sezione più importante del documento è quella relativa alle raccomandazioni, attraverso le quali gli Stati sono richiamati a svolgere un ruolo di primo piano nella prevenzione di abusi di diritti umani nell'ambito di contratti di vendita o affitto delle terre. Il relatore speciale dell’ONU, all'interno del documento, formula le seguenti raccomandazioni:

• Le negoziazioni riguardanti gli accordi di investimento devono essere condotte nella piena trasparenza e con la partecipazione delle comunità locali, il cui accesso alla terra e ad altre risorse può essere compromesso dall'arrivo di tali investimenti. Nella conclusione di un tale accordo, il governo dello Stato i cui terreni sono oggetto di investimenti stranieri deve sempre bilanciare i vantaggi della partecipazione a tale accordo con i possibili svantaggi.

• Qualsiasi cambiamento riguardante l'uso della terra deve avere luogo secondo il principio del consenso libero, preventivo ed informato delle popolazioni locali coinvolte. Ciò è particolarmente importante per le popolazioni indigene, a causa della discriminazione e la marginalizzazione che hanno tradizionalmente subito nel corso degli anni.

• Allo scopo di garantire che i diritti delle popolazioni locali siano salvaguardati, gli Stati dovrebbero adottare una legislazione mirante a proteggerli. Inoltre, gli Stati devono assistere le comunità locali nell'ottenimento della registrazione delle terre da loro utilizzate.

• I ricavi derivanti dalla conclusione di questo tipo di accordi devono essere usati per migliorare le condizioni di vita delle popolazioni locali. Gli investimenti, dal canto loro, devono dare priorità allo sviluppo dei bisogni di queste popolazioni.

• Gli Stati e gli investitori devono stabilire e promuovere sistemi volti alla creazione di posti di lavoro.

• Gli Stati e gli investitori devono cooperare per assicurarsi che i mezzi utilizzati nella produzione agricola siano rispettosi dell'ambiente e non accelerino processi negativi come i cambiamenti climatici e l'erosione del suolo.

• Qualunque essi siano, è necessario che gli obblighi degli investitori siano stabiliti in maniera chiara e che siano previsti meccanismi sanzionatori per il mancato adempimento di questi. Affinché questo meccanismo sia effettivo, devono sussistere periodici rapporti sull'avanzamento del progetto. In pratica, gli obblighi degli investitori non si limitano al semplice pagamento di una somma di denaro per avere accesso alla terra. I suddetti rapporti dovrebbero indicare una serie di parametri secondo i quali il progetto sta proseguendo.

• Allo scopo di evitare che l'intera produzione agricola sia destinata al mercato internazionale, gli accordi di vendita o affitto dovrebbero prevedere una clausola che obbliga gli investitori ad accettare che una certa percentuale dei raccolti siano destinati al mercato locale.

• Le valutazioni sull'impatto del progetto dovrebbero essere condotte prima della conclusione delle negoziazioni, in modo da sottolinearne le conseguenze sul diritto all'alimentazione.

• Alle popolazioni indigene devono essere riconosciute specifiche tutele riguardanti il loro diritto alla terra così come stabilito dal diritto internazionale. Gli Stati devono consultarsi e cooperare con le popolazioni indigene allo scopo di ottenere il loro consenso libero, informato e preventivo su questioni che le riguardano così da vicino.

• La paga dei lavoratori deve essere adeguatamente protetta e le condizioni di lavoro tutelate, facendo riferimento a quanto stabilito dall'ILO ¹⁸.

Nel 2012 la Commissione sulla Sicurezza Alimentare Mondiale della FAO, con una decisione storica, ha adottato un vasto corpo di Linee Guida volte ad aiutare i governi nel loro difficile compito di tutela dei diritti di proprietà e di accesso alle terre. Da quel momento anche il G20, il gruppo di Rio +20 e l'Assemblea generale delle Nazioni Unite hanno incoraggiato l'implementazione di tali Linee Guida. Il documento, chiamato Direttive Volontarie per una Governance Responsabile dei Regimi di Proprietà Applicabili alla Terra, alla Pesca e alle Foreste nel Contesto della Sicurezza Alimentare Nazionale, è il risultato di un lungo processo di consultazioni portate avanti dalla FAO¹⁹. Lo scopo delle Linee Guida è quello di “promuovere la sicurezza alimentare e lo sviluppo sostenibile migliorando la garanzia dei diritti di accesso alle risorse di terra, forestali e ittiche e proteggendo i diritti di milioni di persone spesso in condizioni di estrema povertà. Sebbene non in maniera esclusiva, le Linee Guida fanno riferimento al fenomeno del land gabbing. Se, infatti, le direttive evidenziano che gli investimenti responsabili (sia pubblici che privati) sono indispensabili per migliorare la sicurezza alimentare, dall'altra parte “raccomandano anche che vengano messi in atto meccanismi di tutela che preservino i diritti di proprietà delle popolazioni locali dai rischi derivanti dalle acquisizioni di larga scala, e che difendano i diritti umani, i mezzi di sussistenza, la sicurezza alimentare e l'ambiente”. Anche in questo documento, così come in quello di De Schutter, sono presenti diverse norme riguardanti i diritti delle popolazioni indigene le cui terre si trovano ad essere oggetto di vendita o affitto. Sono ribaditi alcuni doveri per gli Stati, come quelli di consultare tali popolazioni o di provvedere a fornire maggiori tutele al loro status. Ancora una volta, si afferma che gli investimenti dovrebbero anche tener conto e promuovere obiettivi di portata nazionale come il miglioramento delle condizioni di vita, l'eradicazione della povertà e la creazione di posti di lavoro. Sono affrontate le questioni relative alla protezione del diritto alla terra, al miglioramento delle pratiche per la registrazione dei diritti fondiari, alla correttezza e trasparenza nella gestione degli espropri, al rispetto dei diritti delle comunità indigene e al miglioramento degli strumenti di risoluzione delle controversie sui diritti di proprietà. Nello specifico, gli stati sono chiamati a “riconoscere e facilitare la corretta e trasparente vendita e affitto di terre” e ad assicurarsi che “tutte le azioni siano coerenti con gli obblighi esistenti secondo il diritto nazionale ed internazionale”. Inoltre, il documento enuncia una serie di responsabilità gravanti sia sul settore privato (in particolare sulle imprese investitrici) sia sul settore pubblico. Sul versante degli obblighi per i privati, gli attori non statali, incluse le imprese, hanno la responsabilità di rispettare i diritti umani ed il diritto alla proprietà, evitando di intraprendere azioni che possano minacciare tale godimento. Essi devono, inoltre, prevedere un appropriato sistema di monitoraggio allo scopo di prevenire ed affrontare le eventuali violazioni di diritti umani. Qualora esse avessero causato direttamente o indirettamente tali tipi di violazioni, sono tenute a cooperare con gli altri attori sulla scena per rimediare in maniera adeguata alla violazione. Sul versante degli obblighi per gli Stati, invece, è stabilito che essi debbano, secondo i loro obblighi internazionali, fornire accesso a rimedi di tipo giudiziario qualora i progetti abbiano un impatto negativo sui diritti delle proprie comunità. Inoltre, quando sono coinvolte imprese multinazionali, i loro Paesi d’origine hanno l’obbligo di assistere sia le multinazionali stesse che i Paesi oggetto dei loro investimenti, allo scopo di garantire che i progetti non ledano i diritti umani. Gli Stati hanno anche il dovere di adottare ulteriori misure volte a proteggere il proprio territorio dall’abuso di diritti umani ed a rafforzare i diritti di proprietà vantati dalle imprese di proprietà o controllate dallo Stato.

Considerazioni conclusive
Molti pensano o auspicano che i governi locali vogliano e siano capaci di sfruttare gli investimenti provenienti dall'estero in maniera funzionale allo sviluppo del loro Paese. La legislazione locale dovrebbe, infatti, prevedere una serie di meccanismi volti ad accertare che i progetti presentati da attori stranieri non siano in conflitto con i diritti delle popolazioni locali. Purtroppo non è così. Spesso i governi hanno una scarsa capacità o volontà di controllo su questi processi e non condizionano la firma di accordi con imprese multinazionali al rispetto dei diritti dei cittadini dei propri Paesi. 
Tale tipo di regolamentazione è tutt'altro che semplice. Come abbiamo visto, gli interessi in gioco sono davvero tanti e quasi mai la questione del land grabbing si riduce al mero acquisto di terre. Spesso entrano in gioco altri fattori, soprattutto quello politico. Le imprese possono contare su un considerevole potere contrattuale perché sono appoggiate dagli stessi governi dei Paesi d'origine che riescono così ad intessere rapporti di reciproca convenienza con governi dei Paesi in via di sviluppo. Viceversa, i Paesi in via di sviluppo sono diretti da persone che non sempre si mostrano capaci (o volenterosi) di garantire quella protezione ai propri cittadini che renderebbe tali investimenti effettivamente vantaggiosi per tutti. In tali condizioni, le popolazioni indigene spesso subiscono in maniera passiva progetti che dovrebbero invece vederle protagoniste. E così, nel tentativo di esprimere il proprio dissenso, le popolazioni locali riescono talvolta a far sentire la propria voce nei forum che contano, soprattutto grazie all'aiuto di ONG.
C’è, dunque, da affrontare innanzitutto una questione più generale: come si colmano le lacune del diritto internazionale? Non bastano documenti, prese di posizione di forum o consessi istituzionali, codici di condotta volontari. Questi sono sicuramente importanti, ma non costituiscono strumenti sufficienti per affrontare seriamente i problemi perché non pongono vincoli e non determinano incentivi a rispettare le norme. Ci vogliono modifiche istituzionali per dare concretezza alla democrazia rappresentativa sovranazionale. Le istituzioni internazionali devono avere le competenze necessarie per affrontare e risolvere i problemi che i singoli Stati nazionali non sono in grado di affrontare. Le istituzioni internazionali saranno sempre più delegittimate agli occhi dell’opinione pubblica se non faranno questo salto di qualità. La società civile e le ONG non sono affatto mobilitate su questi temi e, dunque, non pungolano i governi nazionali e le istituzioni internazionali a mettere al centro la questione della “democrazia oltre lo Stato”²º. Bisogna battersi, invece, perché “gli accordi giuridicamente non vincolanti, privi di effetto o non democratici, stabiliti nella cerchia dei capi di governo, debbano essere sostituiti da una istituzionalizzazione democraticamente sicura delle decisioni comuni”²¹.
In secondo luogo, c’è bisogno di studiare il land grabbing con un approccio interdisciplinare per coglierne la natura multidimensionale e la complessità. Gli investimenti in terreni esteri non sono quasi mai azioni finalizzate al mero incremento del profitto. Entrano in gioco gli interessi strategici dei Paesi d’origine e le debolezze delle istituzioni dei Paesi target, dal punto di vista democratico. E si palesano fenomeni corruttivi, campagne di disinformazione, situazioni di inaccessibilità degli eventuali aventi diritto ai tribunali dei Paesi dove si trovano i terreni. Sono tutte questioni che gli studiosi devono analizzare in profondità per comprendere il fenomeno e offrire un ventaglio di soluzioni di cui le comunità locali possano servirsi nel confronto con le loro istituzioni. Il land grabbing è un fenomeno fortemente intrecciato con la sfera dei diritti delle persone e delle regole per l’uso delle risorse naturali. Le soluzioni richiedono una crescita complessiva della democrazia liberale sia nei singoli Stati nazionali che a livello sovranazionale. Nel mondo contemporaneo è sorto un nuovo conflitto a cui pochi prestano attenzione: da una parte, chi intende difendere i principi e i valori della democrazia liberale e, dall’altra, chi persegue l’obiettivo di demolirli, introducendo progressivamente negli ordinamenti elementi di illiberalità. Questo conflitto attraversa anche l’Occidente. Il Segretario di Stato americano, Mike Pompeo, ha recentemente annunciato la costituzione di una Commissione sui diritti inalienabili nel Dipartimento di Stato. Essa è “composta - ha affermato Pompeo - da esperti in diritti umani, filosofi e attivisti, repubblicani, democratici e indipendenti di vari background e convinzioni, che mi forniranno consigli sui diritti umani costituiti sui principi fondanti della nostra nazione e sui principi della Dichiarazione Universale del 1948 sui Diritti umani”²². Chi intende seriamente approfondire il tema del land grabbing dovrà necessariamente seguire anche i lavori di questa Commissione.



1) Per un inquadramento più generale dei problemi dell’alimentazione a livello globale si rinvia ad A. PASCALE, Il cibo nel XXI secolo, relazione introduttiva al Convegno sul tema Cibo Terra Acqua Sostenibilità. Quale futuro per 10 miliardi di persone, svoltosi a Roma presso la Biblioteca del Senato il 31 maggio 2012, per iniziativa della rivista l’Albatros http://www.alfonsopascale.it/index.php/il-cibo-nel-xxi-secolo/
2) A. SALTINI, 2057 l'ultimo negoziato, Spazio rurale 2005
3) Per un quadro d’insieme del fenomeno si veda M. PENTORIERI, Attività di land grabbing e diritto internazionale, Tesi di laurea, LUISS Guido Carli, anno accademico 2013-2014
4) B. BIGNAMI, Le sottrazioni alla terra. Land grabbing e i conti che non tornano, in FOCSIV, I padroni della terra. Rapporto sull’accaparramento della terra 2019
5) BORRAS, FRANCO, GOMEZ, KAY, SPOOR, Land Grabbing in Latin America and the Caribbean in The Journal of Peasant Studies, 2012, pp. 845-852
6) CUFFARO, HALLAM, Land Grabbing in Developing Countries: Foreign Investors, Regulation and Codes of Conduct, 2011
7) Ibid.
8) Una trattazione argomentata di questi aspetti si trova nel volume di M.G. GRILLOTTI DI GIACOMO, P. DE FELICE, Land grabbing e land concentration. I predatori della terra tra neocolonialismo e crisi migratorie, F. Angeli 2018
9) Parere d’iniziativa del Comitato economico e sociale europeo (CESE) sul tema “L’accaparramento di terreni: un campanello d’allarme per l’Europa e una minaccia per l’agricoltura familiare” del 21 gennaio 2015, relatore M. NURM, pubblicato sulla GUUE del 23 luglio 2015 (2015/C 242 /03) https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:52014IE0926&from=EN
10) Alleanza globale formata da organizzazioni di agricoltori, agenzie delle Nazioni Unite, ONG e istituti di ricerca. Il suo obiettivo è quello di promuovere un accesso equo e garantito alla terra da parte delle persone che versano in condizioni di povertà
11) INTERNATIONAL LAND COALITION, Tirana Declaration. Securing land access for the poor in times of intensified natural resource competition, 2011
12) Si veda il Parere esplorativo del Comitato Economico e Sociale Europeo (CESE) sul tema “Commercio e sicurezza alimentare”, relatore M. CAMPLI, approvato il 16 dicembre 2009 (REX 273) http://www.romainpiazza.it/wp-content/uploads/2015/12/campli-commercio-e-sicurezza-alimentare-2009.pdf
13) Si veda Land Matrix https://landmatrix.org/global I dati sono relativi a Marzo 2019
14) M.G. GRILLOTTI DI GIACOMO, P. DE FELICE, Land grabbing e land concentration, cit.
15) L. COTULA, T. BERGER, Trends in global land use investment implications for legal empowerment, Iied Land, Investment and Rights Series, London 2017 https://pubs.iied.org/pdfs/12606IIED.pdf
16) Si veda il Rapporto Front Line Defenders Global Analysis 2018 https://www.frontlinedefenders.org/sites/default/files/global_analysis_2018.pdf
17)O. DE SCHUTTER, Large-scale land acquisition and leases: a set of core principles and measures to address the human rights challenge, 2009
18) Ibid.
19) FAO, Adottate le linee guida internazionali sui regimi fondiari, 2012, http://www.fao.org/news/story/it/item/142614/icode/, reperibile on line
20) Per una trattazione del tema nella dimensione europea si rinvia a M. CAMPLI, A. PASCALE, Semestre Europeo Costituente. La democrazia oltre lo Stato, Arcadia Edizioni 2019
21)J. HABERMAS, Nella spirale tecnocratica. Un’arringa per la solidarietà europea, Laterza 2014 

22) Si veda M.R. POMPEO, Remarks to the Press, july 8, 2019 https://www.state.gov/secretary-of-state-michael-r-pompeo-remarks-to-the-press-3/ A presiedere la Commissione sui diritti inalienabili è stata chiamata Mary Ann Glendon, diplomatica, accademica e attivista statunitense, già ambasciatrice degli Stati Uniti presso la Santa Sede e docente di Legge nella Facoltà di Giurisprudenza di Harvard.

Articolo uscito in origine : www.itempidellaterra.org

Alfonso Pascale 
Presidente del CeSLAM (Centro Sviluppo Locale in Ambiti Metropolitani). Dopo una lunga esperienza di direzione nelle organizzazioni di rappresentanza dell’agricoltura, nel 2005 ha promosso l’associazione “Rete Fattorie Sociali” di cui è stato presidente fino al 2011. Docente del Master in Agricoltura Sociale presso l’Università di Roma Tor Vergata, si occupa di sviluppo locale e innovazione sociale. Collabora con istituzioni di ricerca socioeconomica e di formazione e con riviste specializzate. Ultime pubblicazioni: CYBER PROPAGANDA. Ovvero la promozione nell’era dei social (Edizioni Olio Officina, 2019); SEMESTRE EUROPEO COSTITUENTE. La democrazia oltre lo Stato (con M. Campli, Arcadia Edizioni, 2019).

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