sabato 19 dicembre 2015

Laudato si’: un’enciclica* profetica (al tempo di Pio IX)

di Antonio Saltini

Immagine tratta da Agrarian Sciences in the West, 
Nuova Terra Antica, Fi 2015

Il 24 maggio 2015 sua santità Francesco I promulgava un’enciclica sui problemi degli equilibri tra l’umanità e gli elementi fisici e biologici della Terra sulla quale essa vive. Folle devote hanno celebrato l’evento come la risposta della Chiesa ai quesiti che inquietano chi si interroghi sul futuro del genere umano. Il testo pontificio sarebbe stato seguito, nei mesi successivi, da due eventi che invitavano l’umanità intera a sviluppare la riflessione sul proprio futuro: l’Expo milanese, che, grazie, soprattutto, alla premura dei responsabili Rai per evitare ogni confronto che potesse distrarre la folta clientela dall’unica ragione per cui era convocata, relegava il tema Nutrire il pianeta ai ciclostilati dei quartieri cittadini. Nessuno, era scritto negli ordini ai maestri di giornalismo cui era affidato l’evento, avrebbe dovuto distrarsi dallo scopo per cui era invitato: satollarsi, ai prezzi più elevati possibili, ai ristoranti la cui licenza era stata graziosamente procurata dal maggiore affarista di Stato, il sig. Renzi, ad un club di amici. Infine la riunione svoltasi a Parigi, nelle settimane scorse, per rispondere alla domanda se fosse ancora possibile salvare il Pianeta.
Escludendo l’inqualificabile prova della Minculpop-TV nazionale, avendo il consesso parigino rinviato ogni decisione, è, verosimilmente, dall’enciclica pontificia che pare sensato iniziare la riflessione sul tema che ha affaticato, per sette mesi, tanti illustri apparati cerebrali, una fatica comunque incomparabile a quella imposta, a tavole da nababbi, agli ospiti del club Renzi. Ribadito il rilievo dei quesiti, ha proposto, Sua Santità, autentiche risposte? Può essere reputato, il testo vaticano, genuina espressione di pensiero religioso innovativo? Per tentare di enucleare un giudizio si può muovere dal rilievo con cui l’epistola presenta se medesima, tra gli articoli introduttivi, al paragrafo 17, che recita:

Le riflessioni teologiche o filosofiche sulla situazione dell’umanità e del mondo possono suonare come un messaggio ripetitivo e vuoto, se non si presentano nuovamente a partire da un confronto con il contesto attuale, 
in ciò che ha di inedito per la storia dell’umanità.

    E’ il sincero, onesto invito ad abbandonare la lettura ove il testo risulti inadeguato alla rappresentazione degli aspetti non ancora compresi e spiegati del quadro più recente dei rapporti tra l’umanità e le risorse del Pianeta. Palesemente qualsiasi lettore proseguirà la fatica intrapresa alla ricerca dell’analisi di quanto  il contesto attuale... ha di inedito per la storia dell’umanità. Siccome, giunto al termine dell’oneroso impegno, il medesimo lettore sarà costretto a riconoscere che su quel contesto l’epistola pontificia elenca puntualmente la messe di ovvietà che giornalisti di ogni grado di cultura e ignoranza ripetono ogni giorno, apprezza l’onestà di Sua Santità che, all’articolo 17, sconsigliava, lealmente, di proseguire la lettura. Paradossalmente, purtroppo, era solo leggendo l’intero manifesto che la verità appariva inequivocabile, ma per verificarla era stato inevitabile leggere tutto. L’onestà delle intenzioni risplendeva, comunque, luminosa.
I sintomi del marasma che corrode gli equilibri del Pianeta elencati dal testo vaticano sono i medesimi, ho rilevato, che propongono, ogni giorno, i grandi nomi della prima pagina e le principianti delle rubriche di cucina e giardinaggio, le maestre d’asilo e l’attivista sindacale che tiene banco, la sera, alla bocciofila. Accortamente papa Francesco non ha affidato, peraltro, la loro enunciazione nè alla maestra d’asilo nè al sindacalista in pensione, ma ai nuovi vati del pensiero radical-chic, gli accorti opinion leaders arricchiti dai diritti d’autore sui pamphlets che promanano odio (insieme ad assoluta ignoranza) per la scienza, disprezzo per la tecnologia, che additano la causa della rovina prossima ventura dell’umanità nei fertilizzanti e nelle sementi transgeniche, condanne appassionatamente condivise da folle di cittadini frustrati che desidererebbero vivere nelle ville del padrone del giornale preferito, con il grande bosco e l’immenso orto che consente al cavalier Berlusconi di rifuggire le verdure del supermercato per cibarsi di lattughe e pomodori “biodinamici” meticolosamente curati, secondo i precetti di un sommo occultista balcano-germanico, dallo stuolo dei propri giardinieri.

    Purtroppo dichiarare che i mari sono inquinati, che i rifiuti ci stanno sommergendo, che le foreste vengono abbattute contraendo drasticamente il numero delle specie viventi, e che l’acqua sta divenendo bene da custordire in cassaforte, ha la medesima valenza filosofica, beatissimo Padre, della redazione di un’enciclica per celebrare l’invenzione della ruota (notoriamente applicata a carri e carretti dell’Età del bronzo). Se avesse voluto riflettere realmente su quanto il contesto attuale... ha di inedito per la storia dell’umanità  Sua Santità avrebbe dovuto, semplicemente, invitare i propri collaboratori (corsivisti, capocuochi, businessmen del commercio di tartufi, caviale e champagne millesimato) a analizzare con cura il segmento della  storia dell’umanità  decorso, in quasi perfetta corrispondenza, alla seconda metà del secolo appena concluso, durante il quale la popolazione mondiale è più che raddoppiata (da 2,5 miliardi a 6) e il suo aumento è stato felicemente accompagnato dalla triplicazione dei mezzi di sussistenza (limitando i riferimenti ai cereali, base dell’alimentazione umana, da 650 a 2.300 milioni di tonnellate) E’ certo che gastronomi e corsivisti avrebbero potuto smarrirsi tra le correlazioni tra i due fenomeni, ma questo avrebbe, forse, indotto il Santo Padre a sostituire i devoti mercanti di notizie inconsistenti con scienziati autentici (quelli che i primi detestano). Probabilmente dalla sostituzione il testo papale non avrebbe perduto nulla, avrebbe, forse, acquisito qualche rilievo originale da inserire nella pletora delle banalità.

I ricordi familiari di chi scrive registrano la familiarità, tra il 1955 e il 1960, con un prete che visse una breve stagione di notorietà per un duro scontro col Vaticano. Grande avversario, sua eccellenza monsignor Montini, prosegretario di stato, che il focoso sacerdote invitò a licenziare, come inutili, metà dei teologi vaticani per sostituirli con contabili. Se Sua Santità avesse seguito il suggerimento sdegnosamente rigettato dall’ (allora futuro) predecessore, il nuovo corpo di esperti non avrebbe avuto difficoltà a spiegare che se l’Homo sapiens impiegò 70.000 anni (trascurando le divergenze degli antropologi sul dato) per raggiungere i 2,5 miliardi, il raddoppio di quei 2,5 miliardi in soli cinque decenni rappresenta il più grande sconvolgimento dei rapporti tra il genere umano e la Terra sulla quale l’Onnipotente lo ha collocato alla Creazione, l’autentico evento che imponeva l’immenso sforzo intelletuale per spiegare quanto il contesto attuale... ha di inedito per la storia dell’umanità.

Ma parlare di moltiplicazione degli uomini significa, notoriamente, toccare un tema che qualunque uomo di Chiesa rifiuterà sempre di affrontare. E’ tanto comodo ripetere il comando biblico ”Crescite et multiplicamini, et replete terram” (Genesi, V, c. 1, 2) dichiarandolo immutabile ed eterno e imponendolo come pseudo-dogma anche a chi osservi che “replete terram” è locuzione che implica che un giorno la terra sarà repleta, un’ammissione che imporrebbe ai teologi un lavoro cerebrale che i dotti ecclesiastici preferiscono rimettere ai successori (intanto ai nuovi cittadini del Pianeta provvederà Chi su quel Pianeta li dispone). Seguendo coscienziosamente le norme dell’etica gesuitica definitivamente stabilite, nelle Provinciales, da Blaise Pascal (l’ultimo grande teologo nella storia della Chiesa) il gesuita papa Francesco rifugge, accortamente, il problema citando un testo curialesco di esemplare inconsistenza logica:se è vero che l’ineguale distribuzione della popolazione e delle risorse disponibili crea ostacoli allo sviluppo e ad un uso sostenibile dell’ambiente, va riconosciuto che la crescita demografica è pienamente compatibile con uno sviluppo integrale e solidale (capo 50).


Dall’insieme degli scritti non pare che papa Francesco nutra alcuna simpatia per i grandi confratelli che onorarono la scintilla loro donata dal Creatore con magistrali opere matematiche, naturalistiche, geografiche (si può ricordare, per tutti, padre Matteo Ricci, grande apostolo, scienziato preclaro), infelicemente non conosce nulla del focoso alfiere del comunismo evangelico che negli anni Cinquanta suggerì di licenziare i teologi vaticani per sostituirli con ragionieri e geometri, nella definizione del proprio pensiero planetario voci informate ripetono che Sua Santità si sarebbe affidato a un capocuoco: era sufficiente un solo praticante di aritmetica per dimostrargli che la frase curialesca che costituisce, essenzialmente, la chiave dell’epistola è destituita di ogni fondatezza.

Sua Santità lamenta che l’aria è inquinata dai gas-serra, e ne incolpa la tecnologia e la finanza: il contabile che non ha consultato lo avrebbe informato che se un essere umano produce, quotidianamente, tra 300 e 900 litri di diossido di carbonio (fisiologi autorevoli suggeriscono di assumere a valore standard 500 litri, il consumo di un uomo di peso medio in assoluto riposo, con la sicurezza, quindi, che le emissioni reali possano essere reputate superiori del 20/30%) 2,5 miliardi di uomini che, nel 1950, non disponevano che di 2.000 calorie quotidiane ne producevano, ogni giorno, 2,455 milioni di tonnellate, che sommavano 896,2 milioni di tonnellate annue, mentre i 7 miliardi di abitanti attuali del Pianeta espirano quotidianamente 6, 875 milioni di tonnellate di CO2 corrispondenti a 2.509,4 milioni di tonnellate annue. E supponiamo sempre che gli abitanti del Pianeta vivano l’anno in felice riposo: siccome sappiamo che, per volere divino non è così  (“maledicta terra in opere tuo; in laboribus comedes ex ea cucntis diebus vitae tuae... in sudore vultus tui vesceris panem...” Genesi, II/c. III, 17-19), fatica umana e strumenti necessari (buoi o trattore che siano) accrescono le emissioni in proporzione alle necessità da soddisfare.

Non è la perfidia delle multinazionali, Santità, è il più elementare bisogno umano, la respirazione, a inquinare i cieli di anidride carbonica. Esiste, è vero, anche la combustione di idrocarburi fossili, che produce il triplo di diossido, ma, contraendosi le riserve fossili, sarà costretta a contrarsi, mentre il numero degli umani, e dei necessari buoi o trattori, continuerà a crescere in funzione della dilagante crescita demografica. Poi c’è il contributo degli animali selvatici, che i suoi consiglieri pubblicitari lascerebbero moltiplicarsi fino al limite dell’ultimo stelo d’erba, ma le leggi della vita animale iscritte nella natura dal Creatore sono alquanto lontane, possiamo dolercene, dalla passione per i gatti randagi degli “animalisti” il cui pensiero costituisce una delle anime molteplici della Sua epistola).

E’ noto (lo sanno perfettamente i capocuochi) che l’essenziale funzione della respirazione è complemento inseparabile della nutrizione, che oltre ai cataboliti aerei ne produce di solidi e di liquidi (che mi parrebbe irriverente nominare), cui si aggiungono le acque usate per lavare biancheria e stoviglie. In più di un comune italiano si calcolano le fognature per un’evacuazione quotidiana di 250-350 litri di “nero” per abitante. Lei lamenta, Santo Padre, che i fiumi siano stati convertiti in fogne, assuma questo fatidico contabile: le spiegherà che mentre i liquami di cento anni fa, salvo forse 10 grandi metropoli, erano tutti distribuiti negli orti periurbani, oggi, con l’umanità che continua ad accumularsi nelle megalopoli, se tutti i cittadini della Terra disponessero dell’acqua che gli Italiani convertono quotidianamente in liquame produrrebbero ogni giorno 1,98 miliardi di metri cubi di “acque nere” (1,9 chilometri cubici, quasi il doppio del lago di Orta) di cui è futile che i suoi capocuochi incolpino le odiate (da loro e da S. S.) multinazionali, che avranno mille colpe, ma che non producono feci né urine. I suoi onniscienti esperti eccepiranno che, siccome gli Africani mancano, d’acqua il computo è arbitrario. Prescindiamo dalla diluizione: quantitativamente l’umanità emette annualmente 899 miliardi di chilogrammi di feci, contro i 309 del 1950 (quando la parte preminente fecondava gli orti (e inquinava di salmonella le verdure). Sua Santità potrà altresì eccepire che quello di Orta, assunto a scopo didascalico, non è lago sconfinato. La deprecata sovrabbondanza di teologi (e capocuochi), e l’assenza di computisti!

Assuma il fatidico geometra e gli chieda cosa si otterrebbe riversando un volume equivalente al “laghetto” nel Lago di Garda, cinquanta volte maggiore. Infelicemente, il computo dimostrerebbe che tutti i parametri idrologici ne verrebbero alterati. E se sono sufficienti cinquanta anni a raddoppiare la popolazione mondiale, ne occorrono ventotto al ricambio totale delle acque del Garda. Sua Santità, che sogna la Terra popolata da dieci miliardi di abitanti, ricordi che 7 miliardi sono già in grado di inquinare, in un solo anno, 365 masse d’acqua equivalenti all’entità idrica del Garda, e rifletta sul potere di inquinamento dell’umanità dei suoi sogni. Esistono, è vero, i depuratori, ma non sarà certamente Papa Francesco, diffidente di ogni tecnologia, a credere che, nella media, i depuratori trattengano tutti gli elementi che altereranno gli equilibri idrologici e idrobiologici.

San Francesco, con gli interminabili digiuni, non avrebbe prodotto danni equivalenti: perché non inizia, Santità, a imporre un anno di clausura trappista, magari come conversi, a cardinali e vescovi al di sopra degli 80 chilogrammi, e a quelli che, per assolvere “decorosamente” ai compiti del ministero, viaggiano in auto superlusso di cilindrata superiore ai 3.000 c.c. (emettendo CO2 in proporzione)?

Esiste un’autentica perla nell’epistola pontificia: l’asserzione che Benché il cambiamento faccia parte della dinamica dei sistemi complessi, la velocità che le azioni umane gli impongono oggi contrasta con la naturale lentezza dell’evoluzione biologica (capo 18). Purtroppo del principio i valenti scritturali papali non fanno alcun uso significativo, chiedendosi, ad esempio, quali segni possano distinguere una Terra popolata da una sovrappopolata, una circostanza le cui conseguenze possono verificarsi dopo lustri o decenni dai primi segni di esaurimento, o alterazione, delle risorse, rivelandosi, allora, irreparabili. La preziosa enciclica intitolata al verso di Francesco (da Assisi) avrebbe avuto un autentico valore profetico, sugli inconvenienti della scienza e della tecnologia usate senza alcuna considerazione etica, orientando, come sarebbe compito della Chiesa, l’umanità esaltata dal proprio potere sulla natura, ai tempi di Pio IX. Tra cento anni un successore di Francesco (da Buenos Ayres) scriverà la propria epistola per lamentare che tecnologia e finanza avranno convertito il Globo in una scacchiera di deserti e di superfici coperte dal cemento, riconoscendo che il postulato per cui la velocità che le azioni umane ... impongono oggi contrasta con la naturale lentezza dell’evoluzione biologica,  era inequivocabile, ma che le conseguenze non saranno più riparabili. Alla memoria dei predecessori che hanno avallato le profezie di telestar e capocuochi che si potesse sfamare il Mondo con i pomodori del balcone, e benedicendo paternamente i miliardi di uomini destinati a perire per mancanza di cibo e di acqua.

Ma menzionando l’inquinamento dell’aria e dell’acqua il Suo testo, Padre beato, depreca, giustamente, l’orrore delle nuove megalopoli e le condizioni di vita che esse impongono agli abitanti. Ma, anche su questo piano, oltre alle immancabili colpe della tecnologia e della finanza, la prima ragione è il numero ormai inverosimile degli abitanti del Pianeta: Lei, sudamericano, conoscerà perfettamente Mexico City, il maggiore agglomerato umano dell’Emisfero occidentale. Ho letto che nelle sue scuole i bambini disegnano il cielo grigio: non avrebbero mai visto un cielo turchino. Immaginiamo di ricollocarli in condizioni degne di famiglie umane: 21 milioni di persone, postuliamo 4 membri per famiglia, in casette monofamiliari con giardinetto-orticello di 20 m x 30, 600 metri quadrati. Per riallocare tutte le famiglie di Mexico secondo i parametri prescelti si potrebbero disporre 1.666 casette per chilometro quadrato (assuma questo computista, Santità!), e, per dissolvere l’orrenda megalopoli sarebbero sufficienti 3.200 chilometri quadrati, le dimensioni della Valle d’Aosta, Conoscendo il Messico non costituirebbe problema di alcuna difficoltà identificare, sulle Serranías, tra colli dolcissimi, una piccola Valle d’Aosta da convertire in megavillaggio. Purtroppo le Serranías, al tempo di Cortéz ricoperte di boshi, non sono più che miserabili brughiere. E sulle Serranías piove poco e irregolarmente. Per il nostro megavillaggio e gli orti di 5 milioni di famiglie l’acqua non si saprebbe dove captarla, al di là dei problemi immani della costruzione di strade e servizi, al cui costo nessuna Banca mondiale sarebbe in grado di fare fronte. Chi scrive non conosce certamente il Messico come lo conosce Sua Santità, ma un soggiorno accurato, accompagnato da colleghi agronomi (i tecnici che Ella non ama) lo ha convinto che il paese è all’orlo del sovrappopolamento, siccome l’impiego universale di acque di falde che non si rinnovano, che i campesinos strappano alle profondità della terra per sopravvivere, destinano irreparabilmente le regioni più fertili (cito Guanajuato) a convertirsi in deserto.

Ma, eliminata Mexico, resterebbero le altre cinquanta megalopoli del Pianeta: quando, finalmente disporrà di un corpo di matematici, e potrà verificare la congruità dei computi dei capicuoco, il team aritmetico potrà dimostrarLe che, disseminate, come abbiamo immaginato per quella di Mexico, le popolazioni di Shangai, Tokyo, Bombay, Calcutta e Cairo, non restrerà un solo metro di Pianeta per coltivare una spiga di grano. E intanto la Sua parrocchia planetaria comprenderà nove miliardi di anime, unite a un corpo che pretende il pane quotidiano. Purtroppo il suo divino Datore di lavoro non le ha concesso, Santità, il proprio potere di moltiplicare pani e pesci. Peccato! Perché senza quel potere la Sua epistola risulta un sogno felice. Merito preclaro dei collaboratori che si è scelto, il suo testo è tutto un inno a nutrire gli affamati e una condanna dei mezzi con i quali sarebbe possibile raggiungere il risultato. Ma i suoi capocuochi non hanno capito cosa abbia significato il balzo da 2,5 a 7 miliardi di esseri umani, e tutte le loro considerazioni sulle strade per nutrire l’umano genere sono, con la Sua paterna benedizione, il più fatuo vaniloquio.

Immagine tratta da Agrarian Sciences in the West, 
Nuova Terra Antica, Fi 2015

Alimentare 2,5 miliardi di esseri umani e alimentarne, quanti sono oggi, 7, non è la medesima cosa ( e non dovrebbe essere necessario il consulente matematico per dimostrarlo). Nel Suo manuale per rifare il Pianeta Lei depreca che le foreste tropicali vengano abbattute per coltivarne il terreno: un disastro per la biodiversità a sua Santità tanto cara. Poi, in cento passaggi, emerge l’orrore dei suoi consiglieri per fertilizzanti, antiparassitari, sementi apprestate in laboratorio. Purtroppo, come non Le ha concesso di moltiplicare pani e pesci, il Suo Superiore non Le ha assicurato il potere di dilatare le pianure del Globo. Come conseguenza tra il 1961 e il 1998 i campi arati sono stati ampliati, a spese di foreste e savane, e nell’assoluta indifferenza per la biodiversità, da 1.346 a 1.511 milioni di ettari, una superficie immensa eppure inadeguata alla crescente domanda di cibo, e, per di più, conquista effimera, siccome la crescita urbana (se si deve popolare la Terra bisognerà assicurare ai nuovi ospiti un tetto) sottrarrà spazio ai campi coltivati in tempi assai più rapidi di quelli che l’epistola definisce i tempi dell’evoluzione biologica.

Il medesimo rilievo vale per l’irrigazione: dai canali di Hammurabi all’alba del Novecento l’uomo aveva creato le dighe per irrigare 50 milioni di ettari, saliti, al crepuscolo del millennio appena terminato, a 260: il 17% della superficie coltivata, il 40% della produzione agraria del Pianeta. Ma è, anche questa, conquista effimera: la popolazione cresce, le megalopoli si dilatano e, quantunque i consumi idrici dei loro abitanti siano, nelle conurbazioni asiatiche, del tutto inferiori ai bisogni essenziali, siccome tutti i grandi fiumi sono stati, ormai, sbarrati, l’unica acqua disponibile è quella che si può sottrarre agli invasi destinati all’irrigazione. Sottrarre ai campi un terzo, supponiamo, dell’acqua loro destinata, provoca una riduzione più che proporzionale del raccolto, fino alla sua autentica, drastica dissoluzione. Ma le piante hanno sviluppato i propri sistemi fisiologici in milioni di anni. L’Onnipotente poteva farle funzionare con metà dell’acqua che consumano. Le ha fatte così. E Ella è ostile a modificarle in laboratorio.

Esistono cifre impressionanti della superficie sottratta all’agricoltura nei diversi continenti. In Giappone dall’inizio del “prodigio industriale”, cioè dal termine dell’ultimo conflitto mondiale, l’esatta metà della superficie delle risaie che nutrivano il paese è stata coperta di cemento. Negli Stati Uniti ogni anno viene sottratta all’agricoltura la superficie sufficiente a costruire due nuove conurbazioni delle dimensioni di New York. Si potrà discutere della liceità etica di realizzare villette con campo da golf nelle pianure più fertili del Mondo, ma non mi pare che la teologia morale abbia mai dimostrato qualche interesse per il problema (si è saputo di cardinali per i quali il golf costituiva quasi un secondo culto). Due dati riassumono, comunque, i termini fondiari della travolgente rivoluzione demografica del Novecento: nel 1950 ogni abitante del Pianeta disponeva di 0,53 ettari di superficie arabile destinata a produrre cereali, che nel 1996 si erano contratti a 0,21. Non occorre un matematico sommo per desumerne che la produzione di quella superficie dovrà raddoppiare, e per farlo non esistono che i mezzi della fertilizzazione, dell’irrigazione, della difesa dai parassiti, che vanno impiegati in perfetta sinergia. Inviti, Santità, i suoi consulenti a informarsi: solo una dose ottimale di azoto consente alle piante coltivate di sfruttare tutte le potenzialità produttive (suolo, acqua, luce), ma piante produttive sono piante lussureggianti, che attraggono tutti i parassiti, che, lasciati liberi, convertirebbero tutto il cibo destinato ai consumatori umani nel proprio alimento. E i suoi esperti (?) propugnano il ritorno alle antiche varietà di frumento dalle quali non si ricavava, su un ettaro, che il pane per quattro persone .

Ed evitiamo, Padre Beatissimo, di scrivere, anche in tema di biodiversità, volatili amenità: più i campi saranno sospinti a produrre, con i mezzi della tecnica che Ella detesta, quantità maggiori, più la produzione di cibo potrà essere concentrata su superfici minori (che dovrebbero essere rigidamente tutelate) più agevole sarà pretendere il rispetto di più ampie aree vergini, siccome è solo su aree di sufficiente ampiezza che è possibile che la biodiversità manifesti se stessa, con gli incroci spontanei e le mutazioni che sono matrici di quell’evoluzione degli esseri viventi che pare essere stata iscritta nella natura come legge fondamentale da Colui che popolò il Pianeta, mille milioni di anni addietro, di esseri che ci apparirebbero mostruosi, nessuno dei quali alcuno di noi sarebbe in grado di riconoscere. La grandezza del Creatore è tanto più splendida per l’impulso al rinnovamento che impresse nella propria opera, un impulso di cui concesse all’intelligenza della creatura plasmata a sua immagine di ricercare la chiave, che solo autentici scienziati possono tentare (senza certezza di riuscire) di comprendere, che è vano farsi spiegare da architetti, star televisive e capocuochi.

Il testo papale contiene, è un’ultima annotazione, un’enunciazione che è insieme, affascinante e inquietante: l’ecologia integrale richiede apertura verso categorie che trascendono il linguaggio delle scienze esatte o della biologia e ci collegano con l’essenza dell’umano (capo 11) Affascinante perché esprime lo spirito con cui chi creda nel Creatore e lo ami vi ritrova l’autentico spirito della contemplazione della sua opera, inquietante perché il rigetto della scienza cui invita può essere assunto a giustificazione da chi ricerca l’essenza del mondo naturale in fedi e dottrine che, oltre che anticristiane, rivelano, con frequenza inquietante, la radicale matrice satanista. Sono milioni e milioni, Santità, quanti reputano di avere reperito la chiave della comprensione della natura nel credo “biodinamico” di cui l’autore, il mago Steiner, maestro spirituale di Hitler, spiega i misteri nei cento testi sull’iniziazione all’oscuro mondo dei demoni, dichiarando di avere tutto compreso, nell’estasi onirica, tra un incontro con Satana e uno con Arimane. Mentre altrettanti milioni si professano seguaci del credo di una negromante indiana che ha integrato il nome impostole dai genitori, Vandana, aggiungendo quello del demone più orrendo della Trimurti, il nume della vendetta, della distruzione, dell’odio, Shiva. E’ vero, Santità, che sono pochi, ormai, i preti che credano ancora nel Tentatore di Cristo nel deserto: che non le avvenga di scoprire che, licenziato Satana, il Vaticano si sia popolato di devoti di Arimane e di Shiva, che del primo sono, secondo la teologia di Agostino (che pure non conosceva il nome dei demoni del Gange) gregari fedeli.

Antonio Saltini                                    
                                      
16 dicembre 2015



  

 Antonio Saltini
Già docente di Storia dell'agricoltura all'Università di Milano, giornalista, storico delle scienze agrarie. Ha diretto la rivista mensile di agricoltura Genio Rurale ed è stato vicedirettore del settimanale, sempre di argomento agricolo, Terra e vita. 
E' autore della Storia delle Scienze Agrarie, l’ultima edizione dell’opera, in sette volumi pubblicati tra il 2010 e il 2013, è ora proposta in lingua inglese "Agrarian Sciences in the West". Tale opera, per la ricchezza dei contenuti e dell'iconografia, costituisce un autentico unicum nel panorama editoriale mondiale, prestandosi in modo egregio a divulgare in tutto il mondo la storia del pensiero agronomico occidentale.
  





* IL COMMENTO DI ALBERTO GUIDORZI 


Come posso io, cattolico praticante, dare credito a riferimenti come questo sotto e contenuto nell’Enciclica “Laudato si’?

“In diversi Paesi si riscontra una tenden­za allo sviluppo di oligopoli nella produzione di sementi e di altri prodotti necessari per la coltiva­zione, e la dipendenza si aggrava se si considera la produzione di semi sterili, che finirebbe per obbligare i contadini a comprarne dalle imprese produttrici.”
Non posso credere che il Santo Padre abbia scritto scientemente una cosa di questo genere, sicuramente ha dato credito a qualche consigliere impregnato di ideologia che gli ha suggerito una cosa contenente vere e proprie falsità. Ho lanciato un’accusa e quindi ho l’obbligo di motivarla:

1° Ma quale “tendenza”? Essa è una realtà! Ma attenzione è una realtà iniziata negli anni ’80 del secolo scorso, perché allora la Chiesa non è insorta subito? Eppure il disegno strategico era palese fin dall’inizio. Io quel fenomeno l’ho vissuto ed il Santo Padre sicuramente no, era affaccendato meritoriamente a porre qualche rimedio o freno alle nefandezze dei regimi dei colonnelli in Argentina. In quei tempi molte ditte chimiche avevano intravisto che il loro core-business aveva dei limiti di prospettiva economica e quindi cercarono di diversificare. Scelsero di esplorare le nuove frontiere della genetica molecolare in quanto intravidero delle complementarietà e nello stesso tempo dei possibili sostituti. Ma per realizzare ciò avevano bisogno del materiale di base su cui operare, vale a dire il germoplasma delle piante coltivate per trasformarlo in sementi modificate. Questo germoplasma non era acquistabile in quanto tale, ma solo comprando anche chi lo deteneva assieme alle persone che ne conoscevano le caratteristiche, vale a dire le ditte sementiere in gran parte già settori autonomi di industrie chimico-farmaceutiche (perché nessuna voce si è alzata dalla Chiesa in questa prima concentrazione?) Essa è vecchia di più di mezzo secolo e aveva anche allora come scopo di lucrare sulla vendita di sementi agli agricoltori e, diciamolo subito, questi erano ben contenti di acquistare questi semi se il maggior prezzo che erano obbligati a pagare permetteva loro di ricavare guadagni sia per sopperire ai maggiori costi che per aumentare le unità di prodotto da vendere. Vi erano anche ditte sementiere ancora famigliari, frutto di iniziative di loro avi, ma che ormai erano in mano ad eredi non più direttamente interessati all’affare di famiglia. Ebbene, ambedue i tipi di industria sementiera erano in ambasce a causa di una evoluzione eminentemente tecnologica e costosa d’investimenti a rischio per far fronte al nuovo modo di creazione varietale. Alcuni vendettero per le allettanti offerte ed altri entrarono a far parte di conglomerati portando in dote il ramo sementiero. Santo Padre questo è avvenuto alla luce del sole e con tanta pubblicità, dove stava chi le ha consigliato di scrivere quella frase quando ciò avveniva, perché non ha parlato allora di possibile sviluppo di oligopoli, cioè quando si stavano formando e quindi quando qualche provvedimento poteva essere preso? Allora era possibile farlo adesso non più, pena una disgregazione pericolosa se vogliamo dare da mangiare a 10 miliardi di persone. Non mi si venga a dire che a quei tempi in Vaticano non si conoscevano gli intimi meccanismi della finanza internazionale? No invece, ci si preoccupa ora perché movimenti politico-ideologici hanno permeato la società di paure e pericoli infondati, o per lo meno facilmente ovviabili tramite una adeguata informazione e controlli meticolosi. Gli oligopoli sono pericolosi in quanto tali o perché bisogna adeguarsi al pensare di una opinione pubblica maggioritaria e fuorviata? Non è più fattivo che un’alta Autorità Morale dia delle direttive etiche e di comportamento affinché la realtà creatasi agisca secondo regole che tutelano meglio? Perché a quei tempi dai suoi suggeritori per scrivere l’Enciclica non si è perorato la causa della ricerca pubblica che poteva fare da “alter ego” alla ricerca privata fondata sul profitto e permettere un controllo da eventuali derive pericolose? Il silenzio colpevole ha permesso alla politica di privare di adeguati fondi le università pubbliche ed il finanziamento di istituti pubblici di ricerca per troppo tempo; obbligando ai vari “Telethon” attuali.

2° ma quali semi sterili? I semi sterili o meglio la non produzione di semi li crea la natura, e quindi, per me credente, sono insiti nel disegno divino, da tempo immemorabile. Da quando esiste l’uva sultanina e l’uva di Corinto? Da quando esistono le banane senza semi? Da quando esistono i muli ed i bardotti? Di piante con semi sterili biologicamente, l’uomo ne ha perpetuato molti copiando meccanismi naturali e sicuramente non li hanno fatto le multinazionali attuali. Essi furono prodotti molto prima che queste si formassero, come ad esempio la creazione dei semi triploidi nella bietola da zucchero. Non solo, anche la sterilità definibile economica, cioè quella insita nelle sementi ibride, non l’hanno creata le multinazionali perché queste sementi nella loro concezione sono vecchie di 100 anni. La maschiosterilità dei vegetali è fenomeno naturale solo sfruttato dall’uomo. Non solo, ma sia le sementi triploidi che le sementi ibride hanno rappresentato per gli agricoltori e per tutti i consumatori un vero e proprio progresso economico in quanto hanno reso più accessibile economicamente per i consumatori sia lo zucchero che la carne (animali allevati con mangimi a base di mais). Perché Santo Padre si deve parlare solo ora di sementi sterili, quando queste, biologicamente e economicamente, esistono da 50 o 100 anni? Perché nessuno è salito sul pulpito allora? Semplice il problema non esisteva allora e non esiste adesso!

3° ma dove sta l’obbligo per i contadini di comprare per seminare le sementi prodotte dagli oligopoli sementieri? Proprio non esiste! I contadini hanno libero accesso alle sementi che hanno sempre seminato e se le possono riprodurre per uso seme. Ma perché si vuole difendere una categoria di persone che non vuole essere difesa? Anzi si arrabbia se lo fate in quanto gli arrecate un danno se non possono usare sementi innovate. I contadini del mondo povero hanno i loro semi tradizionali, nessuno glieli ha portati via, solo che non si dice che aspirerebbero anche loro a seminarne di migliori, che guarda caso sono quelli che costituiscono i sementieri (oligopoli o non oligopoli che siano), solo che anche loro pretendono la giusta mercede di evangelica memoria. Oggi chi vuole seminare varietà antiche lo può fare liberamente se le trova, certo si non può obbligare un soggetto economico a rifarle, ma deve essere un organismo pubblico a farlo e lo Stato a finanziarne la messa a disposizione degli agricoltori, cioè la collettività a incaricarsene. Purtroppo in una iniziativa del genere il gioco non vale la candela.

4 commenti:

  1. Purtroppo resterà "lettera morta". La preoccupazione per sfamare 7 miliardi di uomini pare che sia di pochi: tutti gli altri fanno orti biodinamici! e sono contenti così.

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  2. Caro Antonio,
    anch’io sono cattolico praticante ma al contempo sono anche agronomo, per cui come tu stesso e Alberto Guidorzi non posso esimermi dalla critica relativa ai concetti di natura agronomica che questo pontefice esprime. Su questo dall’enciclica mi sarei aspettato una visione più realistica a partire dal tema del’anidride carbonica (frettolosamente definita come un veleno quando in realtà in agricoltura è fra i principali fattori di produzione) o al tema dell’uso della tecnologia in agricoltura o ancora al tema dei modelli di agricoltura (una frase come la seguente poteva andar bene nel 1950, oggi mi pare fuori dal mondo: “vi è una grande varietà di sistemi alimentari agricoli e di piccola scala che continua a nutrire la maggior parte della popolazione mondiale, utilizzando una porzione ridotta del territorio e dell’acqua e producendo meno rifiuti, sia in piccoli appezzamenti agricoli e orti, sia nella caccia e nella raccolta di prodotti boschivi, sia nella pesca artigianale. Le economie di scala, specialmente nel settore agricolo, finiscono per costringere i piccoli agricoltori a vendere le loro terre o ad abbandonare le loro coltivazioni tradizionali.”).
    Non posso poi dimenticare il supporto di Papa Francesco ai movimenti anti-ogm (http://www.greenreport.it/news/aree-protette-e-biodiversita/papa-francesco-contro-fabbrica-semi-ogm-monsanto-fotogallery/#prettyPhoto) o le sue dichiarazioni contro la monocoltura di mais rese ai giornalisti mentre tornava in aereo dalle Filippine.
    A differenza di te ho pochissima fede nei premi Nobel, che hanno a mio avviso il gravissimo difetto di sproloquiare su tutto. Non posso però ignorare che esiste un’Università Cattolica con una Facoltà di Agraria per cui la stesura di un documento che riguarda la sicurezza alimentare globale doveva prioritariamente coinvolgere i docenti di tale ateneo. Mi risulta invece che Carlo Petrini vada in giro a vantarsi di avere fatto da consulente al Pontefice per gi aspetti agronomici dell’enciclica, il che è per me intollerabile visto l’elevatissimo tasso d’ignoranza sule tematiche agronomiche che esprime il Petrini, il quale è ad esempio convinto che i concimi di sintesi (a chimici, come li chiama lui) isteriliscano il suolo.
    Insomma, mi aspetterei un Papa che sia un buon teologo e mi ritrovo un Papa che scimiotta gli agronomi senza capire un H di quello di cui sta parlando (perché l’agronomia è una scienza difficile e non tutti hanno gli istrumenti concettuali necessari per poterne parlare a ragion veduta).

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  3. Concordo con tutte le affermazioni dell'Autore. Credo che l'attuale Papa (e quindi anche la relativa enciclica di cui si parla) sia uno specchio della nostra società, incapace di capire il significato e l'importanza della scienza e la necessità di avere un approccio razionale ai problemi, rifiutando assurde tendenze ideologiche.
    Numerosi punti dell'enciclica contengono affermazioni davvero disarmanti, chiaramente dettate da idee tipiche di un ambientalismo estremo. Valga per tutti il N° 60, nel quale non si prende nemmeno posizione sul tema dell'etica ambientale, per cui la Chiesa si limiterebbe a presentare come "diversità di opinioni" il contrasto fra un'etica antropocentrica ed una basata sulla natura. Non so se il nostro buon Papa Francesco si rende conto che in tal modo si minano certi principi teologici sui quali si basa il trono ove lui è seduto.

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  4. Illustre Proff. Saltini, pur non condividendo alcune delle sue affermazioni agronomiche, non mi permetterei mai di contraddirla nel suo campo. Ritengo invece mio dovere sottolineare le sue volgarità: " Mentre altrettanti milioni si professano seguaci del credo di una negromante indiana che ha integrato il nome impostole dai genitori, Vandana, aggiungendo quello del demone più orrendo della Trimurti, il nume della vendetta, della distruzione, dell’odio, Shiva."
    Non solo lei dimostra la più totale ignoranza della religione induista, ma dalle sue parole traspare un livore cristianocentrico becero ed ignorante.
    Alfredo Anitori.

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